QUADERNO 1

 

Archimede Seguso è il piu famoso maestro vetraio vivente. Opera attivamente a Murano. E’ nato nel 1909 da una famiglia di vetrai. Cominciò a lavorare nel 1920, a undici anni, nella vetreria della quale suo padre Antonio era uno dei dieci soci. Quando la società si sciolse, a seguito della crisi del 1929, Archimede era già in grado di assumere una funzione produttiva autonoma. Da allora i vetri che escono dalle sue mani sono diventati richiestissimi e, col tempo, famosi: figurano in molti musei del mondo. Innovatore tecnico straordinario, egli lanciò nuove fogge e nuove tipologie, volgendosi ben presto ad un livello di arte scultorea che lo accompagnerà per tutta la vita sino ad oggi. Le presenze ed i successi alle maggiori mostre internazionali, compresa la Biennale di Venezia, lo confermano come una delle personality dominanti nell’arte vetraria del secolo.

PER UN’ARTE DEL VETRO

Che il vetro sia una forma d’arte è assodato da tempo. La conferma viene, oltretutto, dall’interesse crescente di un collezionismo d’elite. Ma ancora troppi equivoci gravano – sul piano estetico come su quello commerciale – sull’intero comparto del vetro. La “Archimede Seguso”, che ha una lunga e gloriosa tradizione, si propone da tempo l’abbinamento di un’alta qualità esecutiva con un’impronta di creazione autonoma, legata al nome prestigioso del suo fondatore, ancora felicemente operante. Questa pubblicazione periodica vuol essere lo specchio di quella “cultura in movimento” che la “Archimede Seguso” persegue: non quindi un mero strumento di promozione commerciale, ma anche e soprattutto un veicolo di apertura sul piano di una produzione artisticamente impegnata. A questa finalità risponde il piano generato della pubblicazione. Essa sarà suddivisa, anche in futuro, in tre parti: la prima monografica, cioè su un tema preciso inerente l’arte vetraria; la seconda con uno “sguardo al passato”, cioè alla storia della “Archimede Seguso” e, in linea generale, della produzione muranese; la terza con un’apertura grandangolare sulla “linea” estetica d’oggi. Come il lettore potrà constatare, tale binario viene seguito nelle pagine seguenti, a cominciare da un ciclo straordinario, “Rotture”, che ha riscontri di attualità culturale e sociale pur nella purezza del mezzo espressivo. Riteniamo sarà interessante l’excursus storico sui “nudi” di Archimede Seguso degli anni Trenta ed il parallelo con la cultura pittorica del tempo; come pure stimolante potrà essere la presa di contatto con la linea di produzione più recente, volta ad una conciliazione tra l’ieri e l’oggi, cioè ad una compenetrazione degli autentici valori dell’arte vetraria.

“ROTTURE” SEGNI DEL TEMPO

Un ciclo di vetri uscito dalla genialità di Archimede Seguso: momenti di una simbologia esistenziale che si allarga alla società. La massa s’infrange, si separa, ma anche si ricostruisce in una nuova forma di straniata bellezza. La fuga verso I’esterno, I’esplosione, la rotazione: il senso del dolore e l’ansia di una luce spirituale.

Le metà differenti, massa in vetro rubino sommersa cristallo.
Mis. cm. 36.

Scissioni, rotture, lacerazioni. E’ un po’ il segno tragico del nostro tempo  così inquieto. Ne parliamo, ne discutiamo, ne subiamo le conseguenze; sia sul piano  culturale che su quello, più generale, della società. La storia recente della pittura ha esempi anche clamorosi: da Vedova a Fontana, per citare due artisti italiani. Ma nell’arte del vetro? Si dirà: proprio per la sua intrinseca fragilità il vetro è materiale portato ad

Frammenti in rotazione, disco in vetro trasparente
scomposto su piani diversi. Mis. cm. 42.

infrangersi. Facile rompere un vetro; difficile controllarne la rottura. Archimede Seguso, il più famoso maestro vetraio italiano, ha tentato quel che potrebbe apparire impossibile: fare della rottura un motivo di ricomposizione (anche di ristrutturazione) della forma. Egli ha spaccato, materialmente e simbolicamente; e attraverso la spaccatura ha ricostruito. Ci ha dato cioè un segnale di speranza.

Queste opere dell’artista muranese sono nate, evidentemente, da una riflessione interna, che è  diventata anche trauma. Egli è sempre stato abituato, fin da quando ha cominciato negli anni Venti a frequentare le fornaci, a creare da una materia liquida e informe come il vetro fuso: creare quasi dal niente, come bloccare l’acqua o il vento. Straordinaria operazione, quella di chi manipola I’infido Amico-Nemico: ne deve conoscere tutti i segreti, ne deve prevedere metamorfosi e trasmutazioni. A ottantaquattro anni il grande Archimede non ha voluto bruciare le navi nemiche con il suo specchio ustorio, ma ha inteso bruciare una convenzione, un luogo comune: quello della forma che nasce dall’informe. La forma lui l’ha rotta, con una sorta di titanica volontà, nello sforzo di rendere ancor più espressivo il vetro nel momento stesso del suo passaggio dallo stato liquido a quello solido. La rottura è diventata miracolo, ferma, fissata nello spazio e nel tempo, quasi congelata in un sentimento di straniata bellezza. Non esiterei a dire: sono, queste “rotture” di Archimede Seguso, tra le più belle sculture del nostro tempo: certo tra le più emblematiche. Esse nascono da una sapienza tecnica del vetro soffiato e lavorato a massello; si avvalgono di trasparenze e di colorazioni raffinatissime, dal rubino al blu cobalto; tendono ad un movimento di fuga verso I’esterno o di rotazione interna; conglobano sfalsamenti di piani e translitterazioni semantiche; portano in sè una forza dinamica mai doma, anzi in apparente mutazione; ci colpiscono negli occhi come schegge, ma insieme affondano nei risvolti della nostra psiche…Ecco il vetro che, talora, espelle una scheggia dalla sua massa; oppure esplode irraggiandosi verso lo spazio. Ed ecco  scomporsi il


Frammento trattenuto, massa in vetro trasparente con decorazioni in vetro blu. Mis. cm. 32.


Qualcosa mi trattiene, massa in vetro cobalto con decorazioni rubino, sommersa cristallo. Mis. cm. 31.

nucleo stellare fino a dilatarsi in una galassia di luce; e magari un raggio lateralmente fugge verso uno spazio siderale. Come non sentirsi coinvolti, simbolicamente, in questa ansiosa e pur perfettamente composta ansia di infinito? Il senso del dolore che è all’interno par quasi sciogliersi; comunque si salda con

 In alto, nell’ordine: Fuga e attrazione, massa spezzata in vetro rubino sommersa cristallo. Mis. cm. 47; Morbidezza violata, due masse ovoidali sovrapposte, vetro trasparente e macchie in vetro rosso opaco. Mis. cm. 36.; Rotture e scansioni, massa in vetro rubino sjumato blu chiaro, sommersain cristallo, sezionata in tre parti. Mis. cm. 46.

In basso, Scissione delimitata, massa in vetro rubino sommersa cristallo. Mis. cm. 44.

Contrasti primari, elementi geometrici in vetro nero, violetto, cristallo bluino. Mis. cm. 35.
Scissione ritmica, massa in vetro cobalto con decorazione rubino, sommersa cristallo. Mis. cm. 32.

un concetto ideale. Gli stessi paralleli che si possono fare con analoghe esperienze di grandi pittori e scultori di questo secolo si fanno da parte. Il vetro è materia unica: non è una violenza quella che esso subisce, è quasi una introspezione delle sue qualità più intime, più segrete. Un po’ come scoprire l’energia latente e farla esplodere.
Che questa operazione, che potrei definire maieutica, cioè atta a far partorire il seme vitale del vetro, sia stata attuata da un maestro ottuagenario, indica l’integrazione che c’è tra l’artefice e la “sua” materia d’arte. Come dire: più che l’energia fisica occorre l’energia spirituale. Le rotture sono anzitutto mentali, come lo  erano i tagli e i buchi per Fontana. La qualità estetica erompe come un fatto spontaneo; e noi ci stupiamo quasi di non scoprire alcuna fastidiosa intermediazione.

Tutto è avvenuto come lo sciogliersi di una forza della natura. Sbalorditi, ammiriamo queste opere nate dall’angoscia stessa del nostro tempo. Non possiamo che riconoscere in esse i segni di una bellezza al di là del tempo. La Bellezza eterna del vetro.

NEI FAVOLOSI ANNI TRENTA

Nel 1932 Archimede Seguso scolpì nel vetro il primo capolavoro. Un’apertura nuova per il gusto del tempo: il raccordo con Arturo Martini e i maggiori artisti del ‘900. La lavorazione a massello, la percezione della plasticità del blocco, il senso della struttura. Due elementi basilari: la perizia tecnica del giovane maestro e il suo  intuito culturale.

“Donna che si spoglia”, bagnante nell’ atto di spogliarsi in vetro corroso. Mis. cm.30 h. Anno 1934.

Quando nel 1932 Archimede Seguso scolpì in vetro la “Donna con Cerbiatto” aveva appena ventitre anni.Lavorava coi fratelli nella ditta Seguso, che aveva in gestione anche la fornace della Salviati a Venezia. In quello stesso anno alla Biennale, Arturo Martini esponeva quattro suoi capolavori, tra cui “II sogno”, forse la più bella scultura in assoluto del secolo. Sicuramente il giovane muranese vide e ammirò (forse anche conobbe) Martini. La purezza di linee e l’assoluta fluidità plastica della “Donna con Cerbiatto” fanno parte, certamente, di quello che era allora il gusto più avanzato in Italia. E’ difficile, oggi, calarsi in quel tempo. A Murano, dopo la crisi susseguente al 1929, si era orientati verso la ripresa di modelli stereotipi di impianto ancora neo-settecentesco. Soltanto pochi artisti avevano capito che la nostalgia classica di Martini rappresentava il segno di una cultura nuova che stava avanzando. Con Martini si muovevano Sironi, Casorati, Guidi, Funi, in un certo senso anche Carra: pittori di diversa estrazione ma accomunati da quell’idea tipicamente novecentesca di “mediterraneità”, che significava soprattutto reinterpretazione della grande stagione proto-rinascimentale. Allora Marini (classe 1901) e Messina (classe 1900) avevano già una loro incipiente notorietà, mentre Manzu (quasi coetaneo di Seguso, 1908) guardava ancora ai modelli della romanità repubblicana. Ma, a parte le singole figure, era un “nuovo” clima che si apriva in Italia allora, all’insegna dello “stile Novecento”. Archimede Seguso, sempre attento ai fermenti nuovi, assiduo frequentatore della Biennale e delle maggiori mostre, sentiva come il “passatismo” dell’arte vetraria muranese doveva essere superato… muovendosi in sintonia coi tempi. Questa sua posizione lo accomunava ad altri (pochi) designers e vetrai muranesi, coi quali contribuì ad aprire nuovi orizzonti nella lavorazione del vetro. Non è un caso che egli, già considerato allora uno dei migliori maestri,  alternasse le lavorazioni a vetro soffiato, tipiche della tradizione muranese, con quelle a massello, cioè con una materia più “scultorea”. Ecco perchè la “Donna con Cerbiatto” ci appare dentro una armoniosa classicità più che nella maniera Art Deco. Si intuisce, dalla sintesi plastica, la modulazione di una curva rinascimentale (potremmo persino dire donatelliana) che poi andrà sviluppandosi fino alla stupenda “Dormiente” del 1951 e ben oltre, come una costante di tutta la “linea” di Archimede. Nell’arco degli anni Trenta – che oggi si configurano in una dimensione estetica più europea che italiana – un pezzo come il nudo della “Donna che si spoglia” (1934) rivela paralleli evidenti con la più nota scultura del  tempo: basterebbe la soluzione della veste sopra le braccia, che si fa elemento plastico a se, fuori da ogni descrittivismo. Anche i vetri successivi alla guerra, come il “Nudo” in nero iridescente (1949) e soprattutto la stessa “Dormiente” (1951), si situano in una posizione del tutto attigua a quella della statuaria dei vari Messina, Marini e Manzu con una certa propensione martiniana. Ma interessante è soprattutto, in questi anni Trenta purtroppo così scarsi di documentazione, un’opera come il grande pannello con i Segni dello Zodiaco (purtroppo irreperibile).

Presentato alla Triennale del 1937, questo pannello rivela un’ascendenza, come ha ben notato Umberto Franzoi, dai grandi esempi rinascimentali toscani, ma anche un gusto moderno tutto europeo per la sintesi plastica insieme elegante e severa, su una linea che va da Laurens a Moore. In quest’opera, come nelle altre degli anni Trenta (e non solo  ovviamente nei nudi), si rivela la mano formidabile di  Archimede, la straordinaria sicurezza e perizia tecnica e, insieme, il fondo di cultura viva che le innervano. Va sottolineato, proprio sotto l’aspetto tecnico, che in quello scorcio degli anni Trenta, Seguso inizia a lavorare il vetro massiccio su una massa unica, cioè alla maniera degli scultori e non a quella tradizionale dei vetrai con le aggiunte modellate a caldo. Questa era una innovazione tecnica. Archimede Seguso sapeva e voleva  avvicinare il vetro all’arte. Non con questo che egli abbia allora abbandonato la tecnica tipicamente muranese del vetro soffiato, con i vari merletti, filigrane, piume, etc. Ma il suo Kunstwollen era chiaro. E ad avvalorarlo ecco l’uso del corroso, del bulicante, dell’opaco, dell’iridescente, del multicolore: tecniche che intendevano dare alla materia una sua plasticità, giocando sul colore-luce.

“Donna con Cerbiatto”, figura acidata in vetro trasparente con cerbiatto blu. Mis. h. cm. 23. Anno 1932.

In basso, due opere scultoree a confronto:”Bagnante”, MarinoMarini, 1927. “Donna al Sole”, ArturoMartini, 1932-33.
Nudo nero iridescente. Mis. cm. 23 I. opera dell’anno 1949; a destra, “Mia Moglie”, testa a tutto tondo in cristallo iridescente lavorato a massello, 1937.
Mis. cm. 22. In basso, “La Dormiente”, cristallo iridescente lavorato a massello. Mis. cm.19 h. Anno 1951.

UNA LINEA, UNO STILE: “INTRICO”

La nuova produzione di Archimede Seguso: una irrealtà mobile di filamenti entro una massa liquida. Fuga della materia nell’immateriale: sapienza tecnica, immagante suggestione. Espressività e unicità abbinate in un sempre vivo sentimento della forma. Un’atmosfera serotina trapunta di lievissime screziature di luce-colore.

Coppa con base, coppa in vetro blucobalto e intrico difili di lattimo e corallo. Mis. cm. 33.

“L’aria di Archimede” è qualcosa che non si può toccare; ma si percepisce. Potremmo chiamarla stile. Da parecchi decenni questo grande maestro vetraio di Murano produce opere che, ogni volta, stupiscono. C’è in esse qualcosa che si potrebbe indicare su tre livelli comparati: 1) la personalità autonoma del creatore; 2) l’aderenza alla temperie culturale; 3) la comprensione del gusto del pubblico. Se ognuna di queste componenti fosse isolata, non basterebbe. L’arte è fatta così, e non solo dall’età aurea di Picasso e Matisse: è una combinazione sapiente di fattori personali e collettivi, di aderenza al tempo e di superamento (appunto) del tempo.

Orsetti in vetro blu cobaltoconfili di lattimo e corallo, orso in vetro cobalto confili di lattimo. Mis. cm. 20 (orsetti) e cm. 35 (orso).
Vaso sferico con base, vaso in vetro blu cobalto confili di lattimo e corallo. Mis. cm. 21 x 22.

Ecco ora una nuova linea. Si intitola “Intrico”, il termine è un pò…intrigante. Come per il ciclo delle “Rotture”, di cui parliamo nelle pagine antecedenti di questo fascicolo, Archimede Seguso entra in relazione con uno stato d’animo, che non è soltanto suo ma anche collettivo. Intrico è, in realtà, “un insieme sconcertante e fortuito di elementi di confusione e di ostacolo”, ma anche, simbolicamente, una “situazione che provoca imbarazzo e disorientamento”. Sempre l’opera d’arte è uno choc. In questo caso la relazione con ciò che accade nella nostra società in questo momento storico e sì evidente, ma richiama anche un elemento estetico. Siamo tutti dentro questo “intrico” che Archimede così stupendamente ha visualizzato in una serie di vetri. L’arte stessa è intrico, magia che tutti ci avviluppa, ci strania, ci immaga.

Vaso collo allungato, vaso in vetro blu cobalto con intrico difili lattimo e corallo. Mis. cm. 36.
Vaso a fiasca, vaso in vetro blu cobalto confili di lattimo e corallo. Mis. cm. 35.

Vediamoli da vicino questi nuovissimi vetri. Tecnicamente si tratta di bolle di vetro soffiato blu cobalto, incamiciate di cristallo e con intarsi di vetro lattimo e corallo. Attira subito, questa irrealtà mobile di filamenti che si agitano all’interno di una massa liquida che par sfuggire ancor più ai nostri sensi. Nelle alzate, nei vasi di varia foggia, nelle coppe, nei piatti ed anche nella serie di animaletti (in genere orsi) una specie di rete si smaglia e s’intesse davanti ai nostri occhi: pare che la trama si sfilacci e si perda nel vuoto, ma poi si riannoda e si rimescola nelle colorazioni sottili dal blu al bianco e al rosso. Si rimane presi da questa continua fuga della materia nell’immateriale, che è sì tipica del vetro (e forma il suo fascino intrinseco) ma che la mano sapiente dell’artefice ha  portato ai limiti, quasi immergendola in un’atmosfera serotina, dove sta per calare una netta trapunta di filamenti.
L’impressione dall’esterno è avvalorata da una disamina tecnica. Queste opere – “intrichi” misteriosi – sono di una qualità straordinaria, assolutamente non imitabile: e non solo perchè celano all’interno il loro segreto fattuale, ma proprio perchè le ha improntate la personalità dell’autore. Archimede ha ricevuto l’inprint del pubblico, cioè la tendenza di una moda sempre sfuggente; e nel contempo ha ricondotto il gusto, appunto, in stile.

Vaso fazzoletto con base, vaso in vetro blu cobalto confili di lattimo e corallo. Mis. cm. 30 e cm. 34.
Vaso alto, vaso in vetro blu cobalto e intrico di fili lattimo e corallo. Mis. cm. 28.

La ricerca delle difficoltà esecutive è stata sempre tipica di Archimede Seguso. Fin dagli anni Trenta egli ha cercato di andare “al di là”: magari di far vetro come si fa scultura. E di più ancora: di uscire dagli schemi per avvicinarsi all’utopia. II tessuto vitreo è cosi diventato unico; e le fogge (si tratti appunto di vasi o di lampadari, di nudi o di animali, di leggerissime coppe soffiate o di blocchi lavorati a massello) rispondono ad un “sentimento della forma” che è sempre e comunque espressivo.

Piatto con base, vetro blu cobalto con intrico difili di lattimo e corallo. Diametro cm. 45.

Ecco perchè anche in questi “intrichi” realizzati su vasi o coppe c’è qualcosa che si ribalta in espressione. La bellezza non è mai qualcosa a sè, chiusa nell’iperuranio neo-platonico. E’ un modo dell’uomo di ribaltare sulla materia i propri sentimenti. Noi vediamo così, quasi in filigrana,  “l’aria di Archimede” espandersi con leggerezza ed eleganza, nel profumo di un’età sempre giovane.

Vaso a trottola e Vaso uovo, vasi in vetro blu cobalto con intrico di fili di lattimo e corallo. Mis. cm. 25 e cm. 29.

Uovo, uovo in vetro blu cobaltocon intrico difili lattimo e corallo. Mis. cm. 12.