QUADERNO 7

Estate 1942,  Archimede Seguso convalescente a San Martino di Castrozza con il figlio Gino, alle sue spalle.

 

PRESENTAZIONE

 

PER SUPERARE
I LUOGHI COMUNI

I Quaderni di Archimede, giunti ormai al settimo numero, intendono vedere l’attualità – nella fattispecie l’attualità vetraria – nell’ambito di una “cultura in movimento”.

Ecco che I’occasione della Biennale del Centenario, di cui si è già ampiamente parlato nel precedente fascicolo, ripropone nuovi motivi di interesse.

1934. Coppa a spiraline con due aperture laterali formate all’unione parziale del bordo, decorata a mezza filigrana ametista interrotta da liberi intrecci di fili lattimo a spiraline, h. cm 11, I. cm 26. Piatto a festoni in vetro trasparente decorato internamente da nastri di segmenti di fili ametista e giallo opaco, h. cm2,5, diam. cm 22.

Una mostra allestita nella prestigiosa Casa dei Carraresi a Treviso (gentilmente concessa dalla Cassa Marca), dal 18 settembre al 3 ottobre, ricapitola in maniera sintetica la partecipazione del maestro muranese alle Esposizioni dal 1936 al 1972 e riafferma l’affinità fra l’arte del vetro e l’arte della scultura nella tematica (classica per Archimede) degli animali, eseguiti nel 1995.

Quasi mai si sono fatti riferimenti diretti, nella critica recente, alle affinità stilistiche che possono esistere tra produzione vetraria e plastica scultorea.

Archimede Seguso è un esempio lampante, essendo partito proprio, negli anni giovanili poco dopo il Trenta, con l’appellativo di “maestro degli animali”, cioè con una lavorazione scultorea a massello.

Non solo: il riaffioramento, nella cultura attuale, di motivi “ingenui” di colloquialità infantile o primitiva trova riscontro in questa linea perseguita per oltre sessant’anni da Archimede.

Un raffronto tra Jeff Koons e il nostro maestro muranese non è, alla fine, incongruo.

Tutto sta nell’uscire da un’ottica ancora troppo convenzionale, che a tutt’oggi continua a pesare ancora sulla critica vetraria.

 

SGUARDO AL PASSATO

1958. Coppe fantasia bianco nera. Dall’alto in basso: coppa circolare con decorazioni in vetro nero e bianco opaco, h. cm 15, diam. cm26; coppa circolare, h. cm 10, diam. cm 17,5; coppa con bocca triangolare con angoli arrotondati, h. cm 10, I. cm 16,5.

 

SUL CENTENARIO
DELLA BIENNALE

Nel 1938 Archimede Seguso si presenta come scultore: ed è quasi una dichiarazione programmatica. Parallelismi culturali nella retrospettiva di Treviso. Finezze segniche ed esplosioni cromatiche. Dall’informale alla Op Art: un percorso all’insegna di un gusto tutto veneziano.

1952. Vaso a merletto, vaso ovoidale in vetro trasparente, decorato internamente da due macchie simmetriche di merletto bianco e ametista, a loro volta contornate da fili di colore opposto al merletto, h. cm 26, I. cm 11,5.

Vaso a merletto, tronco conico in vetro ambra chiarissimo sfumato con oro, decorato internamente ed uniformemente con merletto bianco, h; cm 39, diam. cm 12. Coppetta con fondo piatto e bordo sporgente in vetro trasparente, decorata internamente da sottilissimi fili bianchi spiraleggianti, h. cm 2,5, diam. cm 13.

Il nostro tempo pare tutto intento a storicizzare. Si dice che compito della cultura d’oggi è “creare la creazione”. Il che privilegia, in un certo senso, la funzione critica. La Biennale del Centenario, da come l’ha impostata Jean Clair, è tutta basata sulla “ricreazione” del passato. Nel campo di quelle che fino a ieri si definivano le arti decorative, il concetto appare ancor più chiaro. Ogni epoca ha un suo stile; ma questo stile viene ripreso, interpretato e (irrimediabilmente) travisato dalla posterità. Il travisamento diventa appunto “ricreazione”. Ecco perchè gli stimoli culturali non mancano mai, anche quando sembra – forse non è un’impressione fallace – che poco resti, oggi, da creare: cioè che siano di gran lunga prevalenti le “rimasticature”.

Rivedere criticamente, come ha fatto appunto la Biennale, la storia del vetro veneziano di questo secolo è già di per se una scoperta: talvolta una meravigliosa scoperta. Ne abbiamo parlato nel precedente numero di questi “Quaderni di Archimede”. Ora ci offre il destro di una nuova “ricreazione” (sia pur critica) la rassegna che alla Casa dei Carraresi a Treviso è dedicata, in sintesi, alle partecipazioni del famoso maestro muranese alle Biennali, partendo addirittura dal 1936.  A Ca’ Pesaro, dove c’è stato da parte degli ordinatori un comprensibile intento di tracciare alcune linee portanti dell’evoluzione del vetro nell’arco dal 1932 al 1972, cioè all’interno del padiglione “Venezia”, la comparsa di Archimede datava 1952, con gli stupefacenti merletti, estrosi tessuti di segni nello spazio illusorio del vetro trasparente. A Treviso si è ripristinato l’avvio storico che data appunto 1936. Sintomatico: la Biennale in quel 1936 sceglie di Archimede il profilo dell’alta qualità tradizionale: una boccia bullicante con le miriadi di bollicine che pare si muovano nella massa vetrosa bleu-oro. Soltanto nell’edizione successiva, 1938, compaiono le sculture vere e proprie, eseguite in massello, cioè in vetro massiccio. L’Ippopotamo esposto quell’anno è diventato uno dei pezzi più noti dell’arte vetraria muranese dell’anteguerra, con quella massa sinuosa in acidato che emerge dall’acqua in un unico blocco. A Treviso troviamo un’opera similare: una Volpe di tono verde (il famoso verde nord) è sempre lavorata a massello ed un vaso ed una coppa in verde-oro con bollicine. Restiamo parimenti ammirati di fronte ad una capacità – davvero unica – di trasporre la tecnica scultorea nella materia infida del vetro. E troviamo in Archimede la stessa tempra stilistica dei giovani scultori allora emergenti: ad esempio Messina, Manzu, lo stesso Marino Marini. La lezione del grande Arturo Martini è lì, a due passi: l’essenzialità della massa che si scioglie nel suo ritmo naturale, con una sorta di rappresentazione allusiva che è tipica proprio di quel fine anni Trenta (e che, per inciso, trova illustri paralleli in maestri come Arp e Moore). Ma non c’è da stupire troppo. Archimede fin dal 1930 s’era dedicato alle sculture di animali, tanto da prendere il soprannome di “maestro degli animali”. Queste sue sculture ebbero allora grande successo, ma non a caso gli establishments culturali (quindi gli ordinatori della Biennale) privilegiavano allora le lavorazioni più “muranesi”, basate appunto sulla raffinatezza dell’esecuzione secondo una linea storica. In sostanza: Archimede era allora stilisticamente avanti. S’era, in altre parole, allineato all’arte sculturale più che a quella vetraria. I suoi animaletti egli li realizzava dalle 3 alle 6 del mattino, prima cioè di iniziare il suo lavoro “ufficiale”. Ma si sa: la storia dell’arte è piena di questi episodi. Ci si è chiesti perchè da quel 1938, cioè dall’anno dell’Ippopotamo, le Biennali abbiano atteso il 1950 per riaccogliere, nel padiglione “Venezia”, il giovane maestro. A parte la lunga cesura della guerra (la Biennale avrebbe riaperto soltanto nel 1948) c’è stata una fastidiosa malattia (emicrania) che per più anni ha costretto Archimede ad un limitato lavoro. Non solo: ma dopo la guerra egli si dedicò anima e corpo a costruire ed avviare (conquistando l’ltalia della ricostruzione con i suoi lampadari) la sua fabbrica, l’attuale, che venne inaugurata proprio il 10 ottobre 1948, nei giorni di chiusura della prima Biennale del dopoguerra. Nel 1950, col ritorno alla Biennale, Archimede si presenta con una Tuffatrice in vetro iridescente sommersa nel cristallo: opera non più rintracciata. A Treviso la sostituisce splendidamente una Dormiente dello stesso momento storico, alto rilievo massiccio in cristallo iridescente. Qui il parallelo con Arturo Martini è chiarissimo: lo conferma il bellissimo disegno originale che viene esposto assieme alla scultura. Lo ribadiamo: Archimede dà un saggio di alta sensibilità plastica, cioè si presenta come scultore e non come pur squisito decoratore.

1937. Vaso e coppa bullicante in vetro verde trasparente e cristallo, con oro, a più strati bullicanti e con mosse protuberanze esterne; vaso: h. cm24; coppa: h. cm 8,5, I. cm25.

1964. Vaso e pesci aleanti Vaso in vetro cristallo leggermente sfumato blu, nel quale la molatura produce effetti cromatici in movimento, h. cm 27,5; I. cm 20; pesci a massello in vetro trasparente e opalino, con dorso sinuoso, molato ed assottigliato, diag. cm30, diag. cm29.

1953. Vaso a merletto, h. cm 19 Vaso in vetro trasparente a sezione ovale con bordo leggermente rientrante, fasciato da merletto ametista interrotto da un profondo intarsio in cristallo.

Con la Biennale del 1952 emerge l’altro, complementare, aspetto dell’arte di Archimede: quello della finezza segnica. Con la coppa composizione in lattimo, squisitamente modulata nelle fasce a segni spiraliformi, e poi con i vari merletti, con i fili di lattimo, con le evanescenti piume, con le curve sottilissime, con le filigrane impalpabili, con gli intrecci di una qualità strepitosa, Archimede sente il richiamo della grande pittura informale del tempo pur ricollegandosi alle filigrane settecentesche. E’ vicino, incredibilmente, ai maggiori artisti segnici del tempo: da Tobey e Michaux fino a Tancredi e magari ad uno scultore come Zoltan Kemeny. Non si è mai accennato, da parte dei vari storici del vetro, a questi paralleli. Ma come non accostare alla pittura di Tancredi certi vasi dai mille segni filiformi disciolti gestualmente nello spazio? E come, poco più tardi, intorno e dopo il 1960, non intendere la stessa aria culturale che muove la Op Art di una Bridget Riley e di un Nicholas Schoffer, mattatori di due Biennali? Naturalmente Archimede inserisce le sue strutture tissulari segniche in una sorta di “estro armonico” vivaldiano, togliendosi da un eccesso di tecnologismo matematico tipico degli artisti nordici. E’ la sua natura di veneziano. La mostra di Treviso, che segue in parallelo le partecipazioni alle varie Biennali, documenta in sintesi tutto ciò. Le coppe filiformi a segni continui, a fasce rigate e a piume immobilizzate nel vetro sono di una qualità stupenda, come hanno notato i visitatori dell’altra mostra, prestigiosa, in corso a Ca’ Pesaro. Poi dal 1964 ricompare alla Biennale, sontuoso, il colore. E’ il terzo aspetto saliente di Archimede (la struttura plastica, il segno filiforme, l’accensione cromatica): forse non a caso esso esce allo scoperto in un momento che prelude e poi contrassegna la generale crisi sessantottesca, in molti artisti intrisa da un nichilismo esasperato (e mortificato): Archimede ci dà la gioia esplosiva del colore. Trionfano i vasi aleanti, dalle forme estrosamente sinuose e dalle leggere sfumature di colori cangianti; emergono le forme nette dei vasi a colori sovrapposti. II 1966 è anche l’anno in cui Archimede crede nell’architettura della forma-colore, realizzando assieme al pittore Luigi Rincicotti, che ha chiamato a collaborare nella sua fabbrica, quella grande scultura a vetri colorati giustapposti “cloi sonne”, che par nata dalla fede nella stagione aurea del Costruttivismo.

1956. Vasi piume Vaso a forma di campana rovesciata in vetro trasparente, decorato internamenteda quattro piume celesti, h. cm27; diam. cm 25; vasetto in vetro trasparente a sezione ovale, bocca e base leggermente sporgenti, decorato internamente da cinque piume celesti, h. cm 22.

Poi arriva propriamente la stagione Optical; e le due Biennali del 1968 e del 1972 ne sono la splendida testimonianza. Abbiamo già parlato, nel secondo Quaderno, del parallelismo con la tendenza che allora s’andava imponendo e di quanto Archimede sia stato capace di interpretarla in modo del tutto autonomo. Dalle canne leggerissime che si sovrappongono nel “vetro cipolla” del 1968 ai vasi spinati e a petali del 1972, con la sottilissima decorazione interna con fili di lattimo, la “Linea Archimede” risalta puntualmente. Qui ormai siamo in una sorta di “classicità” apollinea, che recepisce la moda del tempo in chiave di bellezza universale.

Vaso e coppa spinata, 1972. Vaso squadrato in vetro grigio fumè trasparente, decorato internamente con fili di lattimo a spina di pesce; base in vetro grigio, h. cm25, I. cm 8; coppa quadrangolare, h. cm 9; I. cm 14.

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Vaso composizione lattimo, 1954. h. cm 38; I. cm 15. Vaso a forma di goccia con collo lungo e svasato in vetro trasparente, decorato internamene da disegni di fili bianchi serpeggianti.

 

PROPOSTE D’OGGI

Coppia di anatre a massello in vetro cristallo con oro su base squadrata con superficie mossa. Mis.: h. cm 26; cm 22.

Gruppo di tre orsi a massello in vetro cristallo e oro su base squadrata con superficie mossa. Mis.: h. cm22; I. cm21,5.

 

L’ARCAMEDE DORATA

L’ultima serie in oro sommerso risponde ad una esigenza tipica del nostro tempo. Da Jeff Koons ad Archimede Seguso: parlano gli animali. Un nome nuovo, “Arcamede”, per una esperienza nata negli anni Trenta. Linee sinuose e plastica morbidezza.

1995. Gruppo di tre volpi a massello, di cui una acquattata, in vetro cristallo e oro su base circolare. Mis.: h. cm. 28; I. cm 25,5.

Gli animali in vetro massiccio che Archimede Seguso ha realizzato negli anni Trenta rimangono nella storia della vetraria veneziana: sono – come s’è detto – autentiche sculture che si inseriscono accanto alla produzione dei giovani artisti più dotati (da Manzu a Messina) del tempo. Ma il miracolo è che, pur ad intermittenza, il “maestro degli animali” ha continuato a realizzare i suoi inimitabili lavori per tutta la vita, cioè per ben oltre mezzo secolo. Oggi, alla soglia degli 86 anni, Archimede ci offre una nuova serie di animali, sempre a massello, ma con la grana sottilissima dell’oro sommerso nel cristallo. La mostra di Treviso ce ne offre alcuni esemplari proprio a corredo della sezione storica.

Questi animali, che paiono irradiare luce dorata, possono essere visti da due angolazioni. La prima è quella della tecnica, cioè delle modalità esecutive. Qui non si può non rilevare l’estrema sicurezza della forma plastica, avallata da una coerenza straordinaria, nel fluire sinuoso della massa. Non ci sono pause, non ci sono incertezze: tutto si scioglie con una rispondenza perfetta alle caratteristiche degli animali. Si guardano, si prendono in mano, si accarezzano: sono lì, con la loro struttura che partecipa appunto alla vita, intesa come organismo dinamicamente equilibrato e bilanciato. Come dire: Archimede si è calato nella natura, senza forzarla, ma adeguandosi meravigliosamente alle sue leggi.

Elefanti a massello in vetro cristallo con oro su base circolare. Da sinistra a destra: h. cm 32; h. cm 23,5; h. cm 25.

Ma questo attiene ancora all’abilità della mano dell’artista. C’è qualcosa che sorpassa questa abilità: ed è la rispondenza che ancora una volta, sia pure in maniera istintuale ed intuitiva, Archimede Seguso rivela nei confronti della cultura del tempo. L’arte non può ridursi ad esercizio formale, sia pur raffinato e magari sofisticato come le vicende delle avanguardie storiche ci indicano: essa si misura anche e soprattutto dal riferimento che dà alle esigenze del proprio tempo. Si è parlato a lungo, nel primo di questi Quaderni, delle “rotture”, cioè di quei vetri che Archimede ha realizzato recentemente come risposta alle troppe lacerazioni, fisiche e spirituali, che la nostra epoca esibisce, spesso con crudeltà: sono appunto delle testimonianze di stati d’animo esulcerati, tanto che quei vetri hanno finito per assumere una chiara connotazione simbolica. Ora, con la nuova serie degli animali, Archimede rovescia il postulato di partenza. Avverte il bisogno, sempre più pressante all’interno della società, di una conciliazione, di un contemperamento, di una pacificazione: quindi di una colloquialità pacata, affabile, al di là appunto di ogni traumatica “rottura”. Guardiamoli da vicino questi orsetti, elefantini, volpi, scoiattoli; queste graziose scimmiette, queste colombe, queste anatre, questi placidi conigli. Esprimono una calma, una serenità, un senso di amicizia, (specie quando sono disposti a coppia o a gruppo). Che sia proprio ciò di cui ha bisogno l’uomo d’oggi? Ancora una volta l’arte pittorica e plastica ci offre paralleli che quasi mai vengono citati per gli oggetti in vetro. II successo di un giovane artista americano come Jeff Koons è indicativo: Koons ha cominciato ad imporsi sulla scena internazionale sulla fine degli anni Ottanta, proprio con i suoi orsetti alla Walt Disney vestiti da poliziotti, nonchè con altri oggetti in plastica dalle caratteristiche di mediazione tra figura umana ed animale. Si era cominciato a definirli come riverberi di un gioco infantile; poi, pian piano, si è scoperto che essi risponderanno – come rispondono ancor oggi – ad una necessità biologica dell’uomo contemporaneo. La regressione del mondo dell’infanzia diventa liberazione, cioè riscoperta dei propri elementari bisogni, quindi anche e soprattutto recupero dell’affettività materna.

Coppia di scimmie a massello, di cui una con un frutto in mano, in vetro cristallo con oro su base dalle linee sinuose.Mis.: h. cm 23; I. cm 37.

Volpi lavorate a massello, in vetro cristallo con oro su base dalle linee sinuose. Volpe seduta: h. cm 23; I. cm 30; I’altra: h. cm 20;

Perchè l’arte non dovrebbe farsi partecipe di questa esigenza che, nel mondo così nevrotico e meccanizzato d’oggi, affiora sempre più? Jeff Koons, a poco più di trent’anni, l’ha capito; Archimede Seguso, con la sua ottuagenaria saggezza, l’ha parimenti capito.

Coppia di conigli a massello in vetro cristallo e oro su base circolare. Mis.: h. cm 37,1; cm 25,5.

Ancora una volta il risultato si commisura sulla rispondenza dei mezzi espressivi alle intenzioni. Tutto, in questi animaletti, rivela – lo ripetiamo – una coerenza perfetta. L’aspetto sentimentale, con tutto il desiderio più o meno inconscio di affettività, è reso nelle modalità esecutive senza forzature. Si può persino prescindere dagli intenti rappresentativi: eliminate, in altre parole, la riconoscibilità degli animali. La forma plastica, unita al delicato gioco del color dorato, si esprime di per sè, simbolicamente. Essa invita ad accarezzarla, proprio per scaricare su di essa i bisogni primari dell’uomo d’oggi. E il vetro, quand’è plasmato da una mano d’artista come quella di Archimede Seguso, si presta splendidamente a questa estrinsecazione dei sentimeni.

La serie è talmente bella che ne è venuto fuori un titolo bizzarro: “Arca mede”. Cioè la fusione tra Arca di Noè e il nome di Seguso. II maestro del vetro ha imbarcato sulla sua arca gli animali atti a divulgare un concetto di quieta e serena bellezza dorata.

Famiglia di tre anatre a massello, in vetro cristallo con oro su base dalle linee sinuose. Mis.: h. cm 30; I. cm 38,5.

Coppia di scoiattoli che si scambiano una noce, in vetro cristallo e oro lavorato a massello, su base squadrata con superificie mossa. Mis.: h. cm 26; cm 29.

 

ATTUALITÀ CULTURALE

 

OPERE IN MOVIMENTO

Le mostre di Archimede si susseguono. Dalla Biennale di Venezia a Treviso, da Comacchio a Forlì e a Pesaro. II prossimo “clou” sarà al Museo Dechelette di Roanne in Francia: dagli anni Cinquanta al trionfo delle tavole imbandite. Le ultime novità a Liegi e a Lussemburgo: la sorpresa di un doppio ritratto ed infine a Parigi con le “rotture” a Natale.

L’arte corre il mondo. Non può non essere così, visto che abitiamo un pò tutti nel “villaggio globale”. Anche Archimede Seguso viaggia: o meglio, viaggiano le sue opere. In questo periodo le mostre si susseguono a ritmo battente; e ad esse sovrintende un’organizzazione che deve essere perfetta. Si tratta di centinaia di vetri che vanno spediti in musei e gallerie in Italia e all’estero: e tra questi vetri non pochi sono “storici” e molti sono da collezionisti. Quando la fama è raggiunta, e il prestigio cresce, tutto viene di conseguenza. Onori ed oneri.

1952. Coppa fantasia ametista bianca – h. cm 10; I. cm 21. Coppa schiacciata con sezione sinuosa, decorata internamente con fasce spiraleggianti bianche e ametista ornate a loro volta da fili lattimo e ametista.

Diamo conto in sintesi dell’attività di Archimede Seguso tra questa fine estate e l’autunno, stagione classica di mostre. A Treviso – cui è dedicato il presente Quaderno – vengono esposte, nella splendida Casa dei Carraresi, sede culturale di Cassa Marca (e da essa gentilmente offerta), opere di due distinte sezioni: una panoramica delle partecipazioni alle Biennali dal 1936 al 1972 e un gruppo di sculture recenti sul tema degli animali (“Arcamede”). La mostra è di breve durata, ma preziosa: dal 18 settembre al 3 ottobre. Naturalmente ad essa non possono essere presenti i pezzi che sono ancora esposti, fino al 15 ottobre, a Ca’ Pesaro a Venezia, nel contesto della Biennale del Centenario.

1968. Vaso filigrana stellata. Vaso ovoidale appiattito con piccolo collo in cristallo, decorato internamente con filigrana bianca stellata, h. cm26; I. cm 18.

Allontanandoci dalla Marca Trevigiana e dalla Laguna di Venezia, troviamo un’ altra laguna: quella di Comacchio. Qui c’è la mostra dei “Maestri creatori di Murano nel Novecento”, in cui Archimede espone 15 opere dagli anni Cinquanta ad oggi, partendo da uno splendido vaso a canne che rappresenta il primo effetto della tecnica moderna della filigrana. Da Comacchio a Forlì: in Romagna troviamo nella tradizionale mostra avicola una serie delle notissime uova pasquali, che ormai sono oggetto di vero e proprio collezionismo. Ancora uno spostamento a sud: Pesaro. Alla Mostra-mercato europea dell’antiquariato, dal 14 al 17 settembre, ecco Archimede onorato con una personale che allinea opere degli anni Cinquanta, più la famosa grande piramide, “La mia Europa”, del 1992.

Saltiamo all’estero. Nel prestigioso Museo Joseph Dechelette a Roanne, nel Dipartimento della Loira, si annuncia tra ottobre e dicembre, una vasta personale di Archimede: oltre cento pezzi dagli anni Cinquanta ad oggi. Si comincerà da un vaso opaline dorato del 1950 in vetro con quattro anse e si concluderà con il trionfo di due tavole imbandite a lafagon de Archimede. La Francia, si sa, ha ospitato molte altre volte le mostre del maestro veneziano. A Parigi, a dicembre, ritroveremo le “rotture”, che già hanno avuto successo tra l’anno scorso e quest’anno a Venezia, Treviso, Firenze e Lione. Dalla Francia in Belgio (Liegi) e poi Lussemburgo. Alla grande Rassegna Internazionale degli artisti del vetro, il maestro muranese presenterà le ultime sue creazioni. Tra esse spiccano una “rottura” intitolata “Francesca” e, accanto, quasi il suo opposto simbolico: “Noi Due”, cioè una scultura in vetro massiccio con inglobate bolle soffiate di merletto (tecnica degli anni ’50 ripresa modernamente) che rappresenta due volti che si guardano con affetto. Chi sono? Non è difficile capirlo: sono l’ottuagenario artista e la sua amatissima sposa.

Vaso a merletto,1952, h. cm 35; I. cm 19. Vaso a forma di goccia schiacciata con rigonfiamenti irregolari e piccolo collo cilindrico in vetro ametista trasparente, decorato internamente con larghe tessere irregolari in merletto bianco.

Vaso a merletto pois, 1954, h. cm 22; I. cm 12,5. Vaso a forma di goccia, con fasce irregolari ametista sul collo allungato e sottile decorato internamente con merletto bianco su cui sono sparsi pois ametista. Coppa a merletto a pois, h. cm 13; diam. cm 16. Coppa con sezione circolare, con fascia irregolare ametista sul bordo, decorato internamente con merletto bianco su cui sono sparsi pois ametista.

1952. Vaso a merletto sferoidale a sezione ovale, con bocca aritmica e asimmetrica in vetro ametista trasparente, decorato internamente con grandi tessere irregolari in merletto bianco, h. cm 25; I. cm 21.

Vaso piume con fori. Vaso allungato di forma ovoidale, bocca irregolare e asimmetrica con quattro fori, decorato internamente con piume di colore verde, azzurro e bianco.