QUADERNO 12

Ottobre 1996. Archimede Seguso al lavoro nella sua fornace.

A MURANO Murano isola dell’infamia e del ricordo isola d’acque e di lagune isola antica e adolescente di desideri nel tuo sogno segreto si schiudono fiori di vetro vivono la gioia del tempo

Mario Stefani

PRESENTAZIONE

 

AUGURI MAESTRO

87 prototipi di candelieri creati da Archimede Seguso per i suoi 87 anni.

“Questo 12° Quaderno di Archimede Seguso presenta una testimonianza di Monsieur Pierre Rosenberg, de l’Academie Francaise; un accurato rapporto sui vetrai e l’arte vetraria muranese tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900; alcune note biografiche di Archimede Seguso, di 87 anni appena compiuti il 17 dicembre, instancabile creatore di tecniche e forme.

Altri premi e riconoscimenti sono andati ad aggiungersi nel corso di quest’anno ai molti già attribuitigli.

Per la prima volta, nel marzo, la Camera di Commercio di Venezia ha affiancato al tradizionale premio “Fedeltà al lavoro” un premio “speciale” fuori concorso, quale riconoscimento ad Archimede Seguso per la sua attività di maestro vetraio, artista e imprenditore muranese.

Nel dicembre scorso, il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, ha conferito al maestro l’onorificenza di Commendatore al merito della Repubblica Italiana. Sono attestati che premiano un uomo e la sua arte andata ben al di là dei confini della patria. E’ questo un messaggio italiano di creatività e abilità vetraria al mondo. Molti sono i musei che raccolgono le opere di Archimede Seguso.

A Murano, nella sua fornace dove puntualmente il maestro si reca ogni mattina, creando ogni giorno nuovi capolavori, giungono visitatori grandi e piccini ad ammirarlo, seduto al suo “scagno”, tutto intento ad inventare figure e forme e a plasmare la materia luminosa e incandescente. Molto significativa la visita di una scolaresca di una 2° elementare: i bambini, quasi all’unanimità, hanno espresso il desiderio di voler diventare “da grandi” come Archimede.

Anche così forse l’arte del vetro si perpetua a Murano nelle sue forme e tecniche più prestigiose. E’ un augurio per l’isola di vetro e per Archimede Seguso che ha fatto, di quest’arte, uno scopo di vita.

 

ATTUALITÀ CULTURALE

 

UNA VISITA A
ARCHIMEDE SEGUSO

Pierre Rosenberg, de l’Academie Francaise, scrive del suo incontro con il maestro.

Calle delle Botteghe, in occasione dell’inaugurazione di una mostra di vetri veneziani. Gli invitati si riversavano nella calle angusta. Si servivano arancini di riso. Notai un bel vecchio, esile e fresco, dal viso ascetico e benevolo. Mi informai… Era Archimede Seguso. Fummo presentati. Scambiammo qualche parola di circostanza. Conservai il ricordo di una voce acuta, di un personaggio alla Watteau, longilineo e sognante, un po’ Pierrot, un po’ Gilles.

Qualche mese più tardi, a Murano questa volta, mi recai alla vetreria di Archimede Seguso. Di Murano è stato detto di tutto, e per lo più il peggio, ingiustamente. Nessun turista riesce a sottrarsi alla visita d’obbligo ad una fornace. Gli vengono mostrati forni infuocati all’interno di grandi capannoni fatiscenti, operai affaccendati, gli si decanta una tradizione ancestrale consacrata… al vetro. Poi viene dirottato verso immensi negozi brutalmente illuminati al neon, dove si allineano, sala dopo sala, i prodotti più diversi di un artigianato secolare, concepiti negli stili più svariati. Viene quindi indotto in tutte le lingue e, secondo i suoi mezzi – anche secondo il suo gusto, che si suppone volgare – ad acquistare… Murano è un’isola piatta e campagnola, ben lontana dalla Venezia dei canali e dei palazzi. Urbana e commerciale, Venezia non ha nulla della laboriosa e rustica Murano. Il fascino di Venezia, il fascino di Murano, due mondi distanti due quarti d’ora d’acqua, due mondi che si ignorano e si voltano le spalle.

Archimede Seguso in fornace mentre crea un animate in vetro

Archimede Seguso è seduto su un piccolo sgabello di legno, uno scagno. E’ attorniato dai suoi assistenti, ciascuno con un ruolo, un posto, una funzione, un grado nella gerarchia della fornace. E’ l’ape operaia. “Che cosa desiderate che faccia? ” “Un renard, una volpe”. Ed ecco, comincia uno spettacolo di un’ora e più, spettacolo sovente descritto ma nuovo ogni volta come il levar del sole, che vedrà una massa molle ed informe acquisire forma e colore. Qui, una riflessione, una mostra la illustrerebbe meglio di tante parole, chiarirebbe, permetterebbe di visualizzare, come oggi si dice… Una volpe di Archimede Seguso – che risulterà di un bel blu intenso – che cos’è? In questo caso particolare, tre elementi riuniti in un’unica persona, il maestro, un artista creatore di uno stile destinato ad evolversi nel corso del tempo, un vetraio che trasforma un’idea in una forma, una fabbrica di fama internazionale.

Da lungo tempo, Murano ha conosciuto grandi vetrerie rinomate a livello internazionale, dirette da grandi imprenditori che, come nel mondo delle aziende industriali, hanno saputo vendere nella misura in cui i loro prodotti rispondevano al gusto di un pubblico che essi si sforzavano di coltivare e di educare. Murano ha in ogni epoca visto nascere dei grandi vetrai (dei cui nomi spesso l’ingrata posterity non ha conservato il ricordo) che seppero coniugare virtuosismo e creatività, che seppero sfruttare i progressi tecnici della fabbricazione del vetro e metterli al servizio della loro abilità manuale. In definitiva, vi sono sempre stati artisti, scultori e pittori, architetti o ancora designers, della stessa Murano o venuti dalla terra ferma, a volte persino dalle brume del Nord, per i quali il vetro è stato un mezzo di espressione, fra altri. Alcuni, ma la loro storia deve ancora essere scritta, hanno saputo distinguersi lavorando col vetro meglio che con la pietra o su carta. Alcuni si distinguevano…

Talvolta l’imprenditore impone la propria visione, scopre oppure soggioga i migliori vetrai, attira gli artisti promettenti convincendoli delle ricchezze che offre loro il vetro. Talvolta è l’artista che inventa e crea, che piega il vetro al suo genio. Talvolta è il vetraio, preso come in una morsa, che combina a suo modo le qualità peculiari del vetro, di cui egli solo conosce le infinite possibilità. E’ al gioco sottile fra questi tre elementi – la fabbrica, il vetraio esecutore, l’artista creatore – che Murano deve la sua esistenza, e l’equilibrio mutevole tra queste forze rivali e complici che Murano deve il privilegio di non aver mai perduto la sua vitalità.

Le Mystere Picasso (II Mistero Picasso), il film di Henry Clouzot, appartiene alla memoria di tutti noi. Si vedeva nascere sullo schermo, e poi assumere significato, ciò che all’inizio sembravano linee e curve informi. L’artista immaginava, ben prima di noi, ciò che era in procinto di realizzare. C’era già ordine in ciò che a noi pareva caos. Lo stesso per la volpe di Archimede Seguso. La sincronia dei gesti, la precisione sollecita di ciascuno, la combinazione tra una pratica, che non ha nulla dell’abbrutente ripetitività dell’operaio alla catena di montaggio, e l’attesa della prossima trasformazione, meravigliano, affascinano. Come in un balletto, si resta sospesi ad ogni gesto, si trattiene il respiro – l’incidente è in agguato, l’accidente è sempre possibile…

Le mani forti di Archimede Seguso restano padrone del gioco. II maestro si diverte al lavoro, il lavoro l’ha sempre divertito, solo il lavoro lo diverte. La volpe è là. Perchè è una volpe di questa forma? Perchè di questo blu? II maestro lo ignora. Ecco la volpe. Archimede Seguso, la sua mattinata ben impiegata, la sua mattinata ancora una volta ben impiegata, se ne va a pranzare. Niente in mano, niente in tasca…

Scultura a massello blu cobalto raffigurante una volpe.

C’etait calle delle Botteghe, a I’occasion de I’inauguration d’une exposition de vetri veneziani. Les invites de la re ception debordaient sur I’etroite calle. On leur servait des arancini di riso. Je remarquais un beau vieillard, frele etfrais, au visage ascetique et bienveillant. Je m’enquerais… C’etait Archimede Seguso. On nous presenta. Nous echangeames quelques mots de politesse. Je gardais le souvenir d’une voix haut perchee, d’un personnage a la Watteau, longiligne et emerveille, mi- Pierrot, mi-Gilles.

Quelques mois plus tard, a Murano cette fois, jeme rendais alafabrique d’Archime de Seguso. DeMurano, on a tout dit, lepire en general, et bien a tort. Aucun touristede Venise n’echappe a I’obligatoire visite d’une fornace. On luimontre des fours incandescents dans de grands hangars delabres, des equipes affairees, on luivante une tradition ancestrale auservice exclusifdu verve, on le conduit vers d’immenses magasins brutalement eclaires au neon ou s’alignent, salles apres salles, les produits les plus divers dans les styles les plus varies d’un artisanat centenaire, on le pousse en toutes les Ungues et, selon ses moyens – selon son gout aussi, que I’on suppose mauvais -aacheter… Murano, c’est une He pla te etchampetre, bien loin de la Venise des :anaux et des palais. Urbaine et commer ciale, Venise n’a rien de la laborieuse et ‘ustique Murano. Lecharme de Venise, le charme de Murano, deux mondesd deux juarts d’heure d’eau, deux mondes qui Pignorent et se tournent le dos.

Archimede Seguso estassis sur un petit tajouret debois, un sgabello. On I’entoure. Zbacun a son role, saplace, safonction, on grade. C’est I’abeille ouvriere. «Quesouhaitez-vous que jefasse?» «Una volpe, un renard». Et Id commence un spectacle deplusieurs hemes, spectacle souvent decrit mais neufa chaque fois comme un le ver desoleil, quivena une masse molle et difforme prendre forme et couleur. lei, une parenthese qu’une exposition expliquerait mieux que les mots, clarifierait, permettrait de visualiser, comme on dit aujourd’hui… Un renard d’Archimede Se guso – il sera d’un beau bleu profond – qu’est-ce que c’est? Dans cecasprecis, trois composantes reunies en unememe person nel un artiste inventeur d’un style qui evoluera avec le cours du temps, un maestro qui transforme une idee en une forme et une fabrique de renommee Internationale. De longue date, Murano a connu de grandes maisons internationalement reputees dirigees par degrands patrons qui, comme dans le monde des entreprises industrielles, surent vendre mais vendre d’autant mieux que leurs “produits” repondaient au gout degrands maestri (dont I’ingrate posterite n’a pas toujours retenu les noms) qui surent allier virtuosite etin ventions, qui surent exploiter les progres techniques de la fabrication du verre et les mettre au service de leur babilete manuelle. Ily eut enfin toujours des artistes, sculpteurs ou peintres, architectes ou encore dessinateurs, venus deMurano ou de la terra ferma, parfois meme des brumes du Nord, pour quile verre fut un moyen d’expres sion parmi d’autres. Certains, mais leur histoire reste souvent decrire, surent se distinguer par le verre, mieux que dans la pierre orsur le papier. Certains sortaient durang… Tantot le patron d’industrie im pose son image, decouvre ou debauche les meilleurs artisans, attire les artistes d’avenir qu’il salt convaincre des ressources que leur offre le verre. Tantot c’est I’artiste qui invente etquicree, quiadapte le verre dson genie. Tantot I’artisan, pris en tenaille, combine a sa maniere lesparticularites du verre dont luiseulconnait les infinies possibilites. C’est grace a un jeu subtil entre ces trots composantes – la fabbrica, lafabrique, le maestro, I’executant, I’inventeur, I’artis te-que Murano doit d’exister, c’est a I’equilibre sans cesse changeant entre ces forces rivales et complices que Murano doit de navoirjamais perdu sa vitalite… Lemyste re Picasso, le film d’Henri Clouzot, est dans totes les memoires. On y voyait surgir sur I’ecran et prendre leur sens, cequiau depart semblait lignes et courbes informes. L’artiste imaginait, bien avant nous, ce qu’ilallait realiser. Ily avait ordre dejd dans ce qui nous paraissait chaos. Dememe pour le renard d’Archimede Seguso. La synchro nisation des gestes, la precision attentive de chacun, la combinaison entre unepratique, qui n’a rien de la repetitivite abrutissante de I’ouvriera la chdine attache a sa machi ne, et I’attente de laprochaine transforma tion emerveillent, fascinent. Comme dans un ballet, on demeure suspendu a chaque geste, on retient son souffle -1’incident est vite arrive, I’accident est toujours possible… Les mains fortes d’Archimede Seguso restent maitres dujeu. Le maitre s amuse au travail, le travail I’a toujours amuse, seul le travail I’amuse. Le renard est la. Pourquoi un renard de cette forme? Pourquoi de ce bleu? Le maitre I’ignore. Le renard est Id. Archimede Seguso, sa matinee bien remplie, sa matinee encore une fois bien remplie, sen va dejeuner. Rien dans les mains, rien dans lespoches…

Pierre Rosenberg

 

SGUARDO AL PASSATO

 

VETRAI MURANESI TRA OTTO E NOVECENTO

Nella storia vetraria muranese e nella sua letteratura, gli artisti protagonisti della fine dell’Ottocento e degli inizi del Novecento sono indiscutibilmente i Seguso.

Tramandatasi l’arte di padre in figlio dalla metà dell’800, costituiscono un raro esempio di nucleo familiare totalmente e continuamente impegnato nella lavorazione artigianale del vetro. Proprio per questa loro attestata continuità produttiva ed essendo storicamente parte integrante della viva realtà muranese, possono costituire un giusto pretesto per inquadrare l’articolato contesto della comunità in alcuni suoi precisi e talvolta tralasciati aspetti.

Lampadario, soffiato e realizzato a mano, in vetro ametista.

I lampadari qui presentati sono di produzione attuale, di gusto fine ‘800 e primi ‘900.

Per quel che riguarda “il ramo dei soffiati ad uso antico”, il secondo ‘800 si apre più ricco di prospettive anche se i residui della dominazione austriaca con tutti gli aggravi economici di dazi, di concorrenze europee, di crisi occupazionali, risultavano ancora forti e presenti.

II momento difficile di trapasso, di instabilità muranese, è colto anche dall’abate Vincenzo Zanetti che nel 1864, in occasione dell’inaugurazione della I Esposizione vetraria dell’isola, si sentì in dovere di “spronare i fabbricatori ed artefici a salvare e migliorare per quanto è possibile l’arte” vetraria, “unico mezzo della propria sussistenza”, con “la ripetizione di quei tipi che dall’Evo Medio fino quasi al cadere della Repubblica avevano fatto stupire le più colte nazioni”.

Era infatti questo l’impulso della rinascita vetraria di fine ‘800, intesa a riprodurre più o meno fedelmente gli antichi modelli veneziani puntando alla mera difficoltà: “il difficile per il più difficile”.

Archimede Seguso spegne, per i suoi 87 anni, le candele di 87 prototipi di candelieri da lui creati.

Forte fonte ispiratrice per gli artisti del tempo fu sicuramente il Museo di Murano, inaugurato nel 1861, con i suoi pezzi antichi, i suoi libri e con l’annessa “Scuola festiva di disegno” che aveva il compito di “educare la gioventù che tratta vetraria”.

L’organizzazione del lavoro nelle vetrerie muranesi era rimasta immutata, come pure l’arte di apprendere il lavoro, così, anche nell’800 “i soffiatori di vetri” si trovavano a lavorare il vetro quasi per induzione, “sembrano aver ereditato come per diritto avito il tecnicoingegno in un’industria, che fece tanto famosi i loro antenati”: il mestiere si tramandava di generazione in generazione quasi involontariamente, ma il duro lavoro di fornace e la lunga gavetta dei giovani apprendisti facevano da “selezione naturale”; chi aveva iniziato come “garzone” a 10 anni e aveva dimostrato particolari attitudini all’arte, a 15 aveva più possibilità di passare di grado e diventare “servente”, per cui primo aiuto del “maestro vetraio”, da sempre massima autorità in fornace.

In relazione ai meriti ed ai caratteri dimostrati nell’attività lavorativa a Murano esisteva, ed esiste tutt’oggi, una vera e propria gerarchia per gli appellativi, le cariche accompagnanti i nomi muranesi; questi incidevano non solo nel mondo lavorativo, ma anche nella vita di tutti i giorni. Per esempio, i titoli, peraltro di massima onorificenza della comunità muranese, che distinguono i Seguso nei secoli sono quelli di “Gastaldo”, “Messer”, “Paron” e “maestro vetraio”.

Non era poi così automatico migliorare la propria posizione in fabbrica. Il grado culturale dei vetrai non era dei più alti, anche se la vera sapienza tecnica in materia di vetro era riversata tutta sul maestro di prima piazza che, oltre a detenere i segreti dell’arte secolare dei suoi avi, era sempre molto richiesto; riuscendo infatti ad instaurare un rapporto di stima e fiducia con il padrone di fornace, era frequente che questo lo facesse lavorare, possibilmente, sempre presso di sè.

Non succedeva così invece per gli altri operai che anche nel periodo, per esempio, delle “cavate”, i lassi di tempo in cui una fabbrica spegneva i fuochi, o per mancanza di ordini ingenti o per volere di un decreto, smettendo temporaneamente di lavorare, erano “assunti” talvolta in una fabbrica, talvolta in un’altra; questi, sostando il più delle volte all’uscita delle fornaci, sui ponti aspettavano inesorabilmente l’offerta di lavoro.

Essendo poi la produzione artistica rivolta praticamente alla sola, alta caratterizzazione dei soffiati muranesi, gli stessi maestri e i serventi più o meno giovani “itineranti in ambito locale” avevano avuto modo di livellare la loro preparazione per cui proprio per questo motivo potevano lavorare in qualsiasi fornace, senza comprometterne l’efficienza e l’efficacia della sua produzione; esisteva sì concorrenza, ma non certo determinata dallo spostamento di questa maestranza itinerante specializzata.

I tempi lavorativi erano pesanti ed irregolari; in certi periodi si doveva aumentare di molto il personale senza limiti di orario e spesso si operava di giorno e di notte con più turni; talvolta le ore lavorative raggiungevano anche le 20 consecutive, a seconda della richiesta.

I salari pagati a scadenza settimanale non erano assolutamente alti e lo stesso Zanetti a questo proposito lamenta stipendi troppo bassi anche per i maestri.

La situazione sanitaria-occupazionale della fine dell’800 non era certo delle migliori: non esistevano forme contrattuali precise ed erano assenti i piani della sicurezza del lavoro che dovevano “tutelare la vita umana, la pubblica igiene e la pubblica sicurezza”. A questo proposito Vincenzo Zanetti lamentava che “le fabbriche ove stanno le fornaci per il lavoro della materia prima, canna fina ed ordinaria, meriterebbero di essere molto meglio disciplinate, dappoichè la quantità sterminata di veleni, di nitri, di solfuri che usano tali officine spandono nel vicinato un densissimo fumo impregnato di gas morbiferi e di velenose molecole”; e quindi “le innovazioni si studino, s’introducano pure, ma non a danno della povera mano d’opera, piuttosto a loro vantaggio; essendo che l’industriale deve studiare, è vero, di procacciare i migliori utili nell’industria che tratta, ma non diminuire, si piuttosto accrescere, se sia possibile, il numero degli operai”.

Le tipiche produzioni artistiche della fine dell’800 muranese sono i soffiati leggerissimi, molto elaborati, di difficile esecuzione, filigranati, a zanfirico, dalle tramature vitree più o meno colorate; ci sono poi i vetri a mosaico, le vecchie riproduzioni greco-romane e coppe a decorazione a foglia d’oro graffiata e smaltata.

Questi “revivals” ottocenteschi sono realizzati in pochissime fabbriche a Murano, tra cui quelle di Antonio Salviati che risulta, nel 1866, unica trainante per i vetri “soffiati e di filigrana ad uso antico”. In questo settore della produzione Salviati, particolarmente attivi sono Giovanni Seguso ed il valente Antonio Seguso, a cui spetta “il primato nell’arte classica dei soffiati”; le opere sopraffine che suscitarono anche nell’Esposizione Universale di Parigi dell’anno seguente “lodi grandi”, furono proprio di questi maestri, che ricevettero per l’occasione la Menzione Onorevole. Come “primo artista dell’officina della Società Salviati” nel 1869 alla II Esposizione vetraria muranese, Antonio Seguso viene premiato ancora per i suoi “lavori a soffio ed a mano volante” con la Medaglia d’Oro. Nel 1870 si dedicò, oltre che alla produzione di coppe di dimensioni notevoli, sempre soffiate, anche di vasi dai decori a smalto: ecco una copia della coppa Barovier. Nello stesso anno riceve a Londra alla Workmen’s International Exhibition un premio sempre in valore dei suoi vetri.

Lampadario, soffiato e realizzato a mano, in vetro color paglierino.

Altro grande artista contemporaneo, è Isidoro Seguso che, nel 1875, si appresta con ottimi risultati al rifacimento della rara e bella riproduzione della famosa coppa Guggenheim, prestata all’isola di Murano dal commerciante Michelangelo Guggenheim.

Nel 1877 Antonio Salviati, lasciando l’attività della Compagnia Venezia Murano, fonda la Ditta Salviati & C. La Compagnia Venezia Murano diventa così di proprietà di Antonio Seguso, di tutta la sua famiglia (figli, cugini e nipoti) e di Vincenzo Moretti.

Nel 1870, concorrendo ambedue le ditte all’Esposizione Universale di Parigi, si raffrontarono con vetri così simili per il buon gusto, l’eleganza e la varietà dei modellati da far presagire una forte concorrenza futura.

Esposti a Parigi c’erano pure le riproduzioni dei vasi greco-romani con la tecnica a mosaico o a canne ritorte da Vincenzo Moretti e Antonio Seguso; di quest’ultimo sono pure le copie di vasi realizzati a caldo e vasi a cameo. Isidoro Seguso dalla Compagnia Venezia-Murano passa alla Ditta Francesco Ferro & Figlio. Nel 1892, partecipando all’Esposizione di Genova sotto il nome della fabbrica per cui lavorava, presenta una coppa dal difficile ornato con figure di cavalli marini.

All’Esposizione poi di Milano del 1881 la Compagnia di Venezia-Murano di Antonio Seguso presenta per la prima volta i “vasi fenici” che volevano essere le prime interpretazioni dei vasi antichi a nucleo friabile di età pre-romana.

Di sicura attribuzione “segusiana” è poi la “coppa a calice in vetro avventurina” del 1885 circa, esposta al Museo delle Arti Decorative di Praga; è pure dei Seguso il servizio di bicchieri offerto in dono “ai freschi sposi Vittorio Emanuele ed Elena”, ospitati alia vetreria Seguso nel 1897.

Lampadario, soffiato e realizzato a mano, in vetro verdino.

All’ Esposizione muranese del 1895 sono premiati nuovamente dal “Giuri”, Antonio Seguso, i suoi figli e i suoi nipoti; il vecchio artista viene ricordato per gli impulsi che seppe dare all’arte dell’800 muranese portando “l’arte dal barocco e dal goffo alla purezza ed eleganza dei cinquecentisti”. Esprimendogli così grande gratitudine “perchè riuscì a superare prima di noi difficoltà che parevano insormontabili”, la giuria lo prende ad esempio per le generazioni successive dei giovani vetrai, augurandogli “il diritto di riposare dopo tante onorate fatiche”. I giurati dell’Esposizione furono volutamente molto critici nei riguardi della vetraria muranese esposta, tanto da evidenziare quali secondo loro fossero stati i difetti e le “onorificenze” dei premiati con I’unico scopo di salvaguardare “il buon gusto”, unica guida sicura dell’opera d’arte.

Con questo merito vengono premiati per l’occasione: Giovanni Seguso, con medaglia d’oro “per la valentia dimostrata nel soffio di elegantissimi vetri imitanti l’antico e d’una leggerezza singolare”; Liberale Seguso, con Menzione Onorifica “per il buon gusto nell’esecuzione di alcuni oggetti”; Isidoro Seguso con medaglia d’argento “per alcuni tipi modellati con molta grazia”. Nel 1899 a Nizza veniva premiato poi Giovanni Seguso con Croce al Merito.

Alla fine del secolo scorso, e precisamente nel giugno del 1896, D’Annunzio arriva a Murano per compilare i suoi taccuini in previsione dal suo romanzo “Il Fuoco”, finito poi di redigere nel 1900. Questo romanzo, oltre a proporre il mito di Dardi Seguso inventato da D’Annunzio ed a lui particolarmente caro data la sua presenza in altre sue opere, illustra pure la fornace di Antonio Seguso; si sofferma sulla sua scarna figura e sul calice che Antonio regalò per l’occasione alla Foscarina, protagonista insieme a Stelio Effrena della scena muranese del libro. Ecco che dalle sue descrizioni particolareggiate si riesce a captare l’atmosfera quasi “rituale” di una fornace ottocentesca non tanto diversa da quella contemporanea del suo fortunato e prestigioso discendente Archimede Seguso. Da una parte si scorge e si percepisce il forno di ricottura perfettamente adiacente al “forno fusorio”, l’alito igneo”  si respira sin dall’entrata alla fornace della legna che brucia nella castra;  dall’altra quasi si assapora il silenzio della fornace interrotto solo dal bruciare delle maestranze operative, della legna che arde e dal battere delle canne da soffio.

Questo gusto per il modello storico radizionale veneziano perdurerà sino al primo dopoguerra, appena sfiorato al movimento Liberty, che purtropo non riusciva ad affermarsi nei momenti di produzione muranese. Solo negli anni ’20 si avranno i primi cambiamenti sostanziali nella produzione di Murano, che ricomincia ad assumere un ruolo importante nell’innovazione dell’arte vetraria nel panorama artistico internazionale.

In questo contesto di primo ‘900 operano Giovanni Seguso e suo figlio Antonio. A questi, oltre ai diversi riconoscimenti ricevuti in mostre internazionali, spetta il merito di aver fatto progredire l’industria vetraria muranese in crisi perchè troppo legata al suo passato. Le prime “modernizzazioni dell’arte” nascono proprio dalle loro mani.

Operando in diverse aziende nell’isola prima dello scoppio della prima guerra mondiale, si ritrovano a fondare, dopo gli anni ’20, due tra le poche aziende che segnarono finalmente l’ammodernamento dello stile tradizionale muranese.

Antonio Seguso, infatti, nel 1919-20 fonda con altri dieci soci la ditta “Vetri Artistici Fratelli Barovier”. Nel 1929 il maestro lascia la società per diventare nel 1930 padrone di fornace con i figli Ernesto ed Archimede in un capannone in Campo Cimitero.

Contemporaneamente Giovanni Seguso, nel dicembre del 1921, diventa punto di riferimento appena sorta “Cappellin Vanini & C”, ed oltre che maestro di prima piazza assolve anche gli incarichi di tecnico e compositore. Nel 1925 lascia la società e fonda insieme a Cappellin la “Cappellin & C”.

E’ inutile dire quanto le personalità di questi due maestri abbiano contato sulla fortuna delle ditte a cui appartenevano. Infatti, oltre a figurare come soci, erano proprio loro a creare manualmente la composizione vitrea e gli oggetti.

Indiscutibile rimane il ruolo dell’imprenditore che ha l’onere importantissimo di articolare la fornace intera, ma non dimentichiamo gli artisti di rilievo che spesso e volentieri nella letteratura vengono solo nominati. Talvolta, rimane loro, forse, solamente il merito di aver resistito ad un lavoro così duro qual è quello di fornace sempre più anacronistico e quasi “fuorimoda”.

Per riferimenti bibliografici si rimanda il lettore agli Atti dell’XI Congresso dell’ Association Franchise pour l’Archeologie du Verre tenutosi ad Albi dal 7 al 9 novembre 1996.

 

APPENDICE

 

NOTE BIOGRAFICHE
DI ARCHIMEDE SEGUSO

Archimede Seguso in una recente foto scattata nella sua fornace di Murano.

Archimede Seguso nasce il 17 dicembre del 1909 a Murano. Discendente diretto dei Seguso, attestati ed operanti nel vetro dal 1300 ininterrottamente, ha ereditato dai suoi avi i segreti di questa arte secolare che rese famose Murano e Venezia sin dall’epoca della Serenissima. La forte personalità artistica di Archimede è composita e si afferma sin dagli inizi della sua camera: riesce infatti a bruciare i normali tempi di escalation nella tradizionale gerarchia di fornace, sostituendo temporaneamente, nella fornace del padre, i maestri quando era ancora “servente” e diventando “maestro” con una sua piazza autonoma prima dei vent’anni. Dotato di speciale attitudine al mestiere, fa del lavoro il suo motivo di vita, il suo hobby principale, la sua arte: da sempre il suo genio si impone nel mercato con le sue innovazioni tecniche che determinano gusti, mode coloristiche e formali, e il colto collezionismo delle sue opere, pezzi unici ed irripetibili. Designer e creatore dei suoi pezzi, espone nei piu famosi musei del mondo ed e quotatissimo nelle più importanti aste internazionali.

L’assidua presenza della figura del padre Antonio, durante tutto il suo apprendistato nella sua fornace e la frequentazione giornaliera di suo nonno Giovanni, due grandi maestri vetrai di inizio secolo, hanno sicuramente influito sulle sue lungimiranti creazioni della fine degli anni ’20 e degli inizi degli anni ’30. Consapevole del “passativismo” muranese di questo periodo, rinnova completamente l’orizzonte artistico dell’isola con le sue  sculture vitree a massello con figure di donne, di animali e di vasi modellati e ricavati tutti a caldo da un’unica massa di vetro (come “Donna con cerbiatto” del 1932, “Primo Camera” del 1934, “Donna che si spoglia” del 1934).

La sua geniale invenzione tecnica su vetri opachi, trasparenti e iridescenti era alternata dalla diversa e consueta soffiatura di vetri leggerissimi allora molto richiesti. Il leggero ed il vetro massiccio venivano così accostati e rinvigoriti dalle cangianti opere plastiche dei suoi vetri sommersi, pulegosi (Vaso a botticella del 1937),bulicanti (Boccia blu oro del 1936) e corrosi (Faraone del 1937).

Protagonista indiscusso di tutto questo secolo, si impone alle Biennali di Venezia, alle Triennali di Milano e ad importanti Internazionali con oggetti sempre nuovi, caratterizzati dalla sua equilibrata estetica formale e compositiva. Finita la guerra, fondando nel 1946 la sua vetreria, Archimede risulta particolarmente stimolato a produrre opere originalissime come i soli tre prototipi dei vasi cristallo ad aghi lattimo del 1949.

Gli anni ’50 sono segnati da realizzazioni ancora inedite e straordinarie presentate anche alle Biennali veneziane quali i suoi merletti, i vasi a piume, i corallo, i festoni, a fasce, a macchie, gli avorio, a coste, i pennellati, a losanghe, i fantasia bianco e nera, a nastro richiamato, la serie etere…; speciali di quegli anni sono pure le sculture massicce come l’altorilievo della “Dormiente” del 1951, le maniglie coloratissime prodotte con Santomaso, gli animali iridati dai tessuti vitrei complessi.

Degli anni ’60 sono invece i vasi a fili continui, gli aleante, i colori sovrapposti, il gioco, i filigrana stellata, gli optical art, i cipolla…

E’ inutile dire quanto sia impossibile stabilire il numero preciso di tipologie vitree dell’arte di Archimede Seguso perchè anche in questo ultimo trentennio egli propone modelli e tecniche sempre nuove. Ecco, per esempio, le sue sculture a massello (“Testa di donna dormiente” del 1971, “Fanciulli” del 1873, le “Rotture” del 1994-95, L'”Arcamede” dorata del 1995), ed i suoi vasi spinati, i petali, i trasparenze, i riflessi, i carnevale, i rete, a canne, gli intrico e gli ultimi Verde Serenella 18.

Non sono da dimenticare le sue realizzazioni per l’illuminazione di interni, come pure le sue uova e la sua particolare attenzione all’oggettistica da tavola e contemporaneamente le sculture esposte a tutte le edizioni delle Triennali di Liegi.

Una vita dedicata al vetro ed alla sua famiglia, piena di soddisfazioni e di riconoscimenti. Opera tutt’oggi, a ottantasette anni, nella sua fornace con il figlio Gino ed il nipote Antonio.

Lampadario in cristallo oro a 24 carati. Produzione attuale, di gusto fine ‘800 e primi ‘900.