QUADERNO 13

PRESENTAZIONE

 

IL CONCETTO DI “VALORE”

II linguaggio del vetro e la cultura in movimento.

Entità divisa, 1994, scultura della serie “rotture”, in colore blu cobalto, contornato da cristallo, cm. 29.

In alto, coppia di vasi oro ovoidali, decorati con sei e quattro cordoni verticali verdi profusi d’oro, cm. 25 e2l.

Si chiedeva amaramente uno storico come Le Goff: “Riusciamo ancora a parlarci?”. La crisi dei valori, che caratterizza il nostra tempo, è anche e soprattutto crisi di linguaggio. Diciamo tutti le stesse cose (ad esempio: libertà, giustizia, democrazia) e in realtà parliamo di cose diverse. Lo stesso avviene per l’arte. Mai essa ha abitato pianeti così lontani, che si chiamano magari Minimal Art o Arte povera, Concettualismo o Brutalismo. C’è bisogno di un linguaggio comune: cioè di intendersi sull’idea fondamentale di “valore”, che ingloba anche quella di qualità, elemento di costante guida in tutta la vita artistica di Archimede. E’ per questo che “I Quaderni di Archimede” vogliono indicare una chiave di interpretazione del Bello: che è anche una sintassi ben precisa. Essi intendono offrire un contributo per la lettura dei vetri di Archimede. II vetro è un materiale che può portare all’arte, come il marmo o il colore ad olio; ma non si identifica necessariamente con l’arte. Occorre che chi lo adopera porti in sè un valore universale. Siamo fermamente convinti che Archimede Seguso, che quest’anno attinge ai novant’anni di vita, diffonda appunto questo valore. I suoi vetri mostrano l’arte: la evidenziano fino a farla comprendere agli amatori piu raffinati come a chiunque abbia sete di bellezza.

Oggi ci soffermiamo sui vetri cordonati del 1948-50 e sulle rotture del 1994-95. Si tratta di due modi che appaiono opposti e sono invece complementari l’arte come struttura solida e compatta e l’arte come segno doloroso della crisi. Così Archimede Seguso intende il concetto di “valore”. In entrambe le tipologie formali realizzate sono presenti l’accurata esecuzione e l’abile manualità: così egli intende il concetto di “qualità”. Con questo linguaggio Archimede si esprime sotto il segno di una classicità perenne. Ed è anche più facile l’intendersi.

 

ATTUALITÀ CULTURALE

 

ARCHIMEDE IN MUSEO

La riscoperta del vetro nella cultura d’oggi: una dimensione che è diventata storica. Quel diffuso desiderio del Bello in una presenza espositiva che sta diventando sempre più prestigiosa nel mondo.

Il polimaterismo sta dilagando nell’arte d’oggi. Negli anni Sessanta si discuteva se, ad esempio, si potesse far scultura con il poliuretano espanso o pittura con gli stracci. Le barriere sono cadute. Quel che conta è il valore. Cosicchè le materie che fino a ieri parevano destinate alle arti cosiddette applicate hanno acquistato dignità primaria. II vetro è certamente tra queste: anzi si è talmente nobilitato da attirare l’amatore più raffinato. Gallerie e musei espongono e collezionano vetri d’autore come bronzi di Moore o Pomodoro.

Ma c’è un “ma”. II “nobile” vetro muranese richiede una lavorazione specifica così ardua da non poter essere demandata che a degli specialisti di lunghissima esperienza. Grandi pittori come Picasso e Kokoschka hanno tentato invano di diventare maestri vetrai: è stato un fallimento. E’ qui che entra in gioco anche la manualità raffinata di un artista del vetro come Archimede Seguso. Egli è tra i maggiori artisti viventi, ideatore ed esecutore dei suoi vetri: un artista completo.

Fin da ragazzo, nei primi anni Trenta, egli esegui delle opere, in soffiato come a massello, fatte di fuoco e sabbia, di luce e colore, quasi sospese nell’aria, fluide e apparentemente impalpabili. Esse sono più leggere di un “mobile” di Calder o dei filamenti di Melotti; ma anche solide e massicce come una “Pomona” di Marino Marini; appunto, come la “Pomona” di Archimede.

Si capisce quindi come, superate le barriere dei luoghi comuni, oggi i vetri di Archimede Seguso siano diventati dei must raffinati, contesi dal collezionismo più esigente.

Le mostre? Sono state moltissime, specie negli ultimi anni. Al Guggenheim di New York la memorabile esposizione, “The Italian Metamorphosis 1943-68”, comprendeva vetri di Archimede. Negli ultimi mesi bastera citare le presenze a “Italienisches Glas” (Dusseldorf, New York, Sapporo, Tokyo), a “Lyon Cite Exposition” (Lione), al Castello Sforzesco (Milano); oppure l’entrata trionfale in “Tiffany XX Century”. Si è arrivati a comparare i vetri di Archimede con i vetri romani antichi in una mostra storica come “Vetro vetri, preziose iridescenze”, al Museo Archeologico di Milano.

Sono state notate, tra l’altro, concordanze storiche fin dagli anni Trenta con scultori quali Martini e Messina; coincidenze sorprendenti tra certe filigrane 1970-72 e l’Optical Art di Bridget Riley o di Vasarely; affinita con le proposte della Minimal Art oppure, per tornare agli anni Cinquanta, paralleli con il più raffinato informale segnico (tipo Tobey o Tancredi).

Pur non restando prigioniero di alcuno stile, anzi mostrando una prensilità straordinaria sul filo di una tecnica magistrale, Archimede era sempre là, in ogni momento della sua lunga vita, a raccordarsi con le tendenze e le esperienze più salienti del suo tempo. Ecco anche la ragione per cui istituzioni museali straniere e collezionismo internazionale puntano da tempo sui suoi vetri. Oltretutto il nostro tempo, così ambiguo e spurio, così volgare e banale nelle sue manifestazioni, sente anche il bisogno della pura bellezza, anche del vetro di Archimede.

Tavolino con tre zampe massicce in vetro ambra e verde, 1951, diametro cm. 79, h. cm. 76. Esemplare simile a quello esposto al Museo d’Arte Moderna di Kyoto. Sul tavolo, un vaso in nero a macchie oro, 1951, esposto alla mostra Italienisches Glas, Murano 1930-1970.

 

SGUARDO AL PASSATO

 

UN CICLO STORICO

Coppia di vasi in cristallo oro cordonati verde oro, 1949, h. cm. 28 e cm. 29.

Il ciclo storico dei vasi cordonati di Archimede Seguso comincia intorno al 1948. E’ un anno memorabile. Per gli artisti italiani è I’anno della prima Biennale del dopo guerra: un tuffo nella modernità. Basta dire che i maggiori Premi andarono a Braque, Moore, Chagall e, per gli italiani, a Morandi, Carra, Mascherini. Ma è anche I’anno delle elezioni politiche che dissolvono le prospettive di un primato delle sinistre: quindi I’anno in cui viene avviata con maggior impulso la ricostruzione del Paese. Archimede Seguso non partecipa, in quel 1948, alla Biennale veneziana; è molto impegnato nella realizzazione di lampade e lampadari che, con il suo amico e cliente, e socio in affari, Alberto Sciolari di Roma, conquistano il mercato interne.  Gli italiani acquistano coscienza del loro nuovo ruolo nell’Europa. E l’arte più avanzata sente l’elettrizzante bipolarità tra il realismo e l’astrazione, tra una “tradizione modernizzata” e una “avanguardia forte”.

Come reagisce Archimede Seguso, già allora famoso maestro vetraio ma ancora giovane (39 anni)? La sua produzione è aperta a ventaglio sulle tendenze dell’arte: anzi accentua ancor più la partecipazione al fermento, estetico come ideologico, in corso in quell’anno. Da una parte egli è sulla linea di una geometria essenziale, che porta il vetro ad una estrema rarefazione formale per valorizzarne la purezza intrinseca: quindi all’interno di un design italiano ai vertici mondiali (la Cisitalia sarebbe entrata al Museo d’Arte Moderna di New York). Dall’altra tende ad una sorta di solidità plastica, ad un intervento deciso sulla materia del vetro in modo da farne risaltare la forza. Siamo in un momento appunto di “ricostruzione”, in cui la tradizione, secondo Archimede, deve fare da perno agli sviluppi futuri.

Coppa e vaso in cristallo oro cordonati verde oro, 1949. Coppa diametro cm. 25, vaso h. cm. 28.

Coppa e vaso cordonati in cristallo oro sfumato rubino, 1949. Coppa diametro cm. 21, vaso h. cm. 25.

Si pongono qui, in questa feconda dialettica, i cordonati che sarebbero poi continuati per altri due-tre anni. Sono vasi che qualcuno ha definito “maschili” proprio per la loro robustezza ed essenzialità: quasi anche per la loro (si può dire?) aggressività. Li caratterizzano i cordoni o costoni, spesso attorcigliati, in cristallo oro sfumato rubino o, più frequentemente, in verde e in verde acqua dorato. Essi formano l’ossatura sintetica del vaso, che si apre come una pianta vegetale, quindi con una vaga accentuazione fotomorfica. Si sente quasi il respiro della massa in tensione vitale: una spinta ottimistica pur nella severità (appunto virile) del viluppo organico. Le reminiscenze floreali, o addirittura rococò, sono superate proprio dai vettori di forza che lanciano la massa fluida verso l’alto.

Coppa e vaso in cristallo oro cordonati verde oro, 1949. Coppa diametro cm. 25, vaso h. cm. 28.

Coppia di vasi in cristallo e oro cordonati a petalo in zanfirico bianco e rosa, 1949, h. cm. 27 e cm. 30.

Ai vasi si aggiungono ben presto i famosi tavolini, in varie versioni: anch’essi basati sulle cordonature decise e su uno sviluppo ovoidale o sinusoide del piano. Questi tavolini, talora con le gambe incrociate, ognuno diverso dall’altro, gireranno il mondo con un successo strepitoso per poi rimanere nel museo di Corning e di Kyoto. Dai tavolini il maestro vetraio, artista ideatore e nel contempo esecutore, giunge a soluzioni anche più ardite, come quella dei mobili per I’arredamento del negozio di Barduagni a Roma o della scala (sempre del 1948) che porta alla sala d’esposizione a Murano come una regale introduzione. Le mani poggiano trepidanti sui corrimano vitrei; e la sensazione è quella di una materia che si fa viva, che risponde alle emozioni.

In quel ’48 anche Archimede, nel pieno delle sue energie creative, partecipa alla grandiosa ricostruzione del Paese. E’ attivissimo nel lavoro in fornace e sul piano espositivo. I suoi vetri sono richiestissimi e già si intuisce che entreranno ben presto nell’ambito del collezionismo europeo. Arrivano anche le commissioni importanti: ad esempio per l’Alemagna di Milano, per i cinema Astra di Padova ed Udine, per il cinema Excelsior a Milano.

Caraffa con bicchieri in cristallo oro cordonati verde oro, 1949, rispettivamente h. cm. 16 e cm. 11.

Due coppe in cristallo oro cordonate verde oro, 1949, h. cm. 42 e cm. 35.

La Biennale di Venezia lo invita ad esporre nella grande mostra del 1950 (ed un pezzo sommerso viene venduto a 2.500 lire). Piovono gli inviti all’estero. I cordonati, in questa fase, acquistano un’importanza primaria: rispondono ad una esigenza di fiducia psicologica e di fermezza plastica: preziosi nelle sfumature dell’oro e, nel contempo, solidi nella plasticità primaria. Egli forgia una mitica figura di nudo femminile in vetro nero, vende i suoi vetri a New York ad Altman e a Venezia a Pauly; fornisce i lampadari del Teatro Verdi a Firenze e del Lirico a Milano, dell’hotel Continental di Chianciano.

Quando c’è la mano di un vera artista – come nel caso di Archimede – anche un vaso di vetro può diventare emblematico nella storia della società, e non solo in quella del gusto estetico.

 

NEL SEGNO DEL TEMPO

Scissione ritmica II, 1994, cm. 32. Massa policroma con sezioni allontanate dal nucleo.

Disgiunzione, 1994, cm.32. Dalla massa concentrica in cristallo con piccolesfumature in verde blu si stacca unframmento.

Come le “rotture” del 1994 siano diventate di bruciante attualità. Un ciclo fortunato di vetri che esprimono una condizione di lacerazione fisica e psicologica. Archimede interprete di un’epoca che cerca l’unità nella frantumazione.

Le rotture di Archimede nacquero più di cinque anni orsono, nel 1994. Allora si disse che rappresentavano “il segno tragico del nostro tempo così inquieto”. La forma vitrea, frantumata con violenza, rivelava nelle sue schegge disperse una sorta di straniata bellezza: quasi una scomposizione e ricomposizione di qualcosa – un nucleo tragico esistenziale – che nasceva dai meandri della psiche e si riversava nella società. Quelle “rotture” sono diventate, in poco tempo, famose. Hanno fatto il giro del mondo saldando la straordinaria finezza del vetro muranese con la problematica individuale e sociale che contraddistingue appunto le lacerazioni della nostra epoca.

Intaglio di Carnevale, 1994, esplosione saturniana di fasce colorate verde, rubino, blu, h. cm. 45.

Ma oggi? I tragici avvenimenti dei Balcani, che hanno contrassegnato questa primavera così angosciosa, confermano ancor più l’intuizione di Archimede. Le “rotture”, amate, ammirate, invidiate e richieste un pò dovunque, diventate simbolo di una condizione moderna, vengono considerate alla stregua di una profezia. Gli artisti, si sa, spesso intuiscono gli avvenimenti: li presagiscono e, magari, li raccontano in anticipo. Archimede è sempre stato, fin dagli anni Trenta, un interprete del suo tempo e non soltanto un creatore di squisite opere dal carattere universale. Con le “rotture” egli ha inteso dar vita ad un sentimento insieme amaro e fiducioso: la ferita viene vista come tale, ma ha in sè i sintomi della rigenerazione. Dopo aver lavorato per tutta la vita (nel 1994 egli aveva 85 anni) a costruire, Archimede si è messo a spezzare, a rompere, a lacerare, a frantumare. II “suo” vetro tanto amato, ridotto all’essenziale purezza delle forme  da un cangiantismo cromatico, è stato da lui violentato. I frammenti sono caduti ai suoi piedi. Lui li ha delicatamente raccolti e, togliendoli dal caos, li ha riproposti secondo l’attrazione quasi magnetica che si era formata. II vuoto è diventato come un alito umano, lo sforzo di rimarginare miracolosamente la ferita. Oggi – passati cinque anni – vediamo queste forme-informi con occhio ancora più intenso: il messaggio, estetico come simbolico, è cresciuto; la metamorfosi riempie di commozione. Quel senso di dolore rappreso pare sciogliersi.

Eclissi, 1994, scultura in cristallo soffiato e verdino, limitata da linee rette e curve, h. cm. 55.

Spazialità, 1994, scultura soffiata in cristallo, h. cm. 34.

Visione, 1994, massa concava in vetro verdino con bolle sfumate verde di tonalità più scura, h. cm. 55.

Riuscirà la nostra Europa, riusciranno i Balcani, riuscirà il nostra Paese a saldare le rotture inferte dal tragico conflitto? Un artista anziano, anzi venerando, come Archimede, ci dice di sì. I frammenti vitrei così ricomposti formano un nuovo tipo di bellezza: esulcerata e dolorosa, ma ancor più vitale. Nel risentire l’eco della frattura, fisica come psicologica, si percepisce anche il senso di unità – la “reductio ad unum” platonica – che compatta e ricompone, salda e unisce.

TEMPO LIBERO

Una mostra presso la Conference Hall Union Lido di Cavallino Venezia: l’arte entra nel tempo libero. Coi cordonati e le “rotture” c’è anche “Hurricane”, l’ultimo uovo di Archimede. In chiesa un solenne Presepe dorato.

E’ una novità: Archimede nel grandioso Centro Vacanze Union Lido, sulla spiaggia veneziana. I suoi vetri camminano accanto al tempo libero; Archimede ha occupato la sua vita con l’hobby del lavoro. II turismo ha bisogno di arte; anzi, la cerca proprio nel tempo libero. Così è stata organizzata, dal 7 luglio a fine agosto, questa mostra inedita del maestro muranese nel piacevole Centro Vacanze che ospita ben diecimila persone, con oltre un milione di presenze all’anno, per la massima parte tedesche e provenienti dal Nord.

Presepe composto da 12 figure in vetro massiccio trasparente profuso d’oro lavorato a massello, 1965.

Due le sezioni principali: i cordonati degli anni 1948-50 e le “rotture” del 1994-95. Sono due aspetti diversi ma insieme complementari della produzione di Archimede, entrambi – specie il primo – ormai storicizzati e quindi a produzione finita e limitata. Completano la mostra due presenze fuori sede: un Presepio, una quindicina di elegantissime figure in cristallo e oro, un insieme di grande qualità, con ritmi sinuosi e delicati (altri Presepi del maestro sono al Museo di Arti Decorative di Madrid e nella Chiesa di Santo Stefano a Venezia) ed una selezione delle famose uova pasquali, numerate per il collezionismo, tra cui l’ultima arrivata: “Hurricane”, in cristallo trasparente con fili bianchi intrecciati e una sfera. Si sa: quella delle uova firmate e una fantasiosa invenzione di Archimede, che si ripete da una ventina d’anni; il segno e l’augurio di una fecondità che quest’anno, oltretutto, sta per festeggiare i novant’anni del maestro.

Particolari di alcuni personaggi del presepe, in vetro massiccio trasparente profuso d’oro lavorato a massello, realizzato nel 1965.

Infine, in questa mostra, ci saranno i quadri/vetro/scultura realizzati da Archimede in collaborazione con Ferruccio Gard, pittore di radice neo-costruttivista. Anche questa sarà una curiosità.

Abbandono, 1994, scultura composta da due elementi in cristallo con delle bolle e due fili colorati in blu e verde, h. cm.34.

Più di mezzo secolo fa, nel 1948, Archimede Seguso volle abbellire la scala d’accesso che, nella sua fornace di Murano, portava alla sala d’esposizioni. Come farlo? Col vetro, naturalmente. Ecco uscire dalle mani del grande maestro vetraio la balaustra d’una scala con colonnine portanti ed intrecciate: tutto in vetro. Oggi la scala, diventata storica, fa da accesso a quello che è diventato il museo di Archimede Seguso: un’opera d’arte tra le tante sue opere d’arte.

Archimede Seguso, imprenditore e maestro vetraio operante a Murano, come i suoi avi nel Medioevo, incarna in sè la tradizione, la tecnica, l’ispirazione, la manualità. E’ il personaggio che collega la grande vetraria del Settecento riscoperta e l’innovazione del Novecento. II suo profilo umano e la sua disarmante semplicità rendono la sua figura carismatica. Buona parte del ventesimo secolo vede Archimede Seguso protagonista d’avanguardia dell’arte del vetro. Nella sua opera emerge una grande ricerca tecnica, talvolta complessa, ma sempre legata alla qualità formale e quindi svincolata dal puro virtuosismo. Creatore ed instancabile ideatore di forme e lavorazioni inimitabili, la sua arte è presente in molti Musei del mondo ed è particolarmente apprezzata dai collezionisti.

Collezione uova dell’anno: Hurricane. Uovo 1999 realizzato in cristallo con motivi di filigrane cinquecentesche muranesi intrecciate. Ideazione Antonio Seguso.