QUADERNO 3

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Ecco una vecchia foto di Archimede Seguso: è stata scattata I’11 luglio del 1936 nella vecchia fornace dei Seguso a Ponte Vivarini a Murano.  Dal 1946 la sede della “Archimede Seguso” sarà l’attuale, in Fondamenta Serenella,18.  La foto segue idealmente quella del 1926 pubblicata nel precedente numero di questi “Quaderni”.  Archimede è il secondo da sinistra, in piedi, con la canna da soffio in mano, davanti alla bocca della fornace.  Nato nel 1909 da una famiglia di vetrai muranesi, Archimede Seguso è una delle glorie dell’arte vetraria italiana.  I vetri usciti dalle sue mani e dalla sua fantasia sono ormai richiestissimi in tutto il mondo e fanno parte di musei e collezioni prestigiose.  Innovatore tecnico straordinario, Archimede ha lanciato nuove fogge e nuove tipologie, ma è stato soprattutto un grande artista.  Le sue opere, vere e proprie sculture in vetro, sono la testimonianza di un rapporto sempre secondo la cultura del tempo.

 

PRESENTAZIONE

 

UN INVITO
ALLA RIFLESSIONE

Terza tappa nell’avventuroso viaggio dei “Quaderni di Archimede”. E’ un’esplorazione che vuol essere anche una provocazione: il segno, come è stato detto, di una “cultura in movimento”, che va oltre la bellezza degli oggetti presentati. I vetri, che fin dagli anni Trenta questo grande maestro vetraio muranese ha prodotto e continua a produrre, sono schegge del nostro tempo: simboli di qualcosa che non sta fermo ma segue la sintomatologia stessa della nostra cultura e, in senso lato, della nostra società.  Si tratta quindi di un invito alla riflessione su qualcosa che è al di là del bello, oltre l’esterna paradigmatica fragilità del vetro: il sentimento di una compenetrazione dell’arte nei problemi del nostro tempo.

Questo terzo “quaderno” segue l’impostazione dei precedenti ma ha, in più, un motivo che unisce i testi: la presenza della “Archimede Seguso” a Firenze, dove viene presentata, durante tutto il mese di settembre, nella galleria espositiva proprio di fronte a Palazzo Strozzi in via de’ Tornabuoni.  In questo “quaderno”,  iI tema della tavola imbandita, occasione anche e soprattutto per un discorso di estroso accostamento tra creazioni stilisticamente diverse ma accomunate da una “linea” di alto livello; la rievocazione, in chiave essenzialmente simbolica, delle partecipazioni di Archimede Seguso alle tre ormai storiche Triennali di sculture in vetro di Liegi; il ritorno, con nuove proposizioni, di quel ciclo delle “rotture” che ha già avuto uno straordinario successo prima a Treviso e poi a Venezia.  Su questo triplice filo conduttore corrono i testi; ed è, ancora una volta, la conciliazione tra una grande tradizione e i tempi nuovi che stanno davanti a noi tutti.

 

ATTUALITÀ CULTURALE

 

LE TAVOLE DI ARCHIMEDE

Saranno esposte a Firenze per tutto il mese di settembre, le tavole imbandite di Archimede Seguso. Il decorativismo e la sontuosità propri del Rinascimento veneziano rivivono, “rivisitati”, nello splendore dei vetri creati dal grande maestro muranese.

Paolo Veronese il 20 aprile 1573 compare davanti al Tribunale del I’lnquisizione, a Venezia. E’ accusato di aver dipinto una “Ultima Cena” in modo troppo sfarzoso, con una tavola riccamente imbandita e personaggi stravaganti.  II quadro pare sconveniente. L’lnquisitore interroga in modo martellante il pittore:
– Quel vestito da buffon con il papagalo in pugno, a che effeto l’havete depento?
– Per ornamento, come si fa.
– Alla tavola del Signor chi vi sono?
– Li dodeci (sic) Apostoli.
– Che effetto fa San Pietro, che è il primo?
– E’l squarta l’agnelo per darlo all’altro capo de la tola.
– Dite l’effetto che fal’altro che e appresso.
– L’ha un piato per ricever quel che li dara San Pietro. E l’altro che e appresso?
– L’e uno che ha un piron, che si cura i denti.
– Chi credete voi veramente che si trovasse in quella Cena?
– Credo che si trovassero Cristo con li suoi Apostoli. Ma se nel quadro li avanza spacio, io l’adorno di figure… L’interrogatorio continua stringente.
– Li par conveniente che alla cena ultima del Signor si convenga dipingere buffoni, imbriachi, Thodeschi, armati, nani et simili scurrilità?
– Signor no.
– Perchè dunque l’havete depinto?
– L’ho fatto perchè presuppono che questi sieno fuori del luoco dove si fa la Cena…Ed ecco la frase saliente di tutto l’interrogatorio che esce spontanea dalla bocca del Veronese:
– Nui pittori si pigliamo licentia che si pigliano i poeti et i matti.
Come dire: l’arte ha altre ragioni che quelle della “convenienza”. Essa si basa soprattutto sulla fantasia.

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Di concezione moderna, i piatti massicci dai bordi sinuosi si accostano ai secchielli, con anelli liberi ai lati, di gusto settecentesco ed a un vaso degli anni ’50 in vetro trasparente a coste con due foglie in cristallo oro.

Tutta la pittura veneziana è impostata in questo modo. Essa trasfigura l’oggetto, lo sublima, lo rende fascinosamente illusorio. Tutti i grandi pittori del Rinascimento veneziano si sono dilettati nel rendere la fragile trasparenza dei vetri con tocchi e riflessi di colore: da Tiziano al Tintoretto, dal Bassano al Veronese. Più tardi, soprattutto nel Seicento olandese, questo vezzo, squisitamente illusionistico, sarà ripreso nelle splendide nature morte in cui brillano i vetri più bizzari e le coppe più trasparenti.

Ecco perchè Paolo Veronese insiste così frequentemente nel descrivere banchetti favolosi, sfarzosissime tavole ricamate, vasellame pregiato, vesti di damasco e broccato, bicchieri elegantissimi. Si tratta sempre di “pretesti”. II soggetto può essere sacro, come nelle “Nozze di Cana” con gentiluomini col calice alzato e servi mescenti vino da grosse anfore, o come nell’ “Ultima Cena” più volte dipinta, ma anche nell’allegoria religiosa permane il gusto del “vivere bene”, la fuga verso un ideale sublime di bellezza. Appunto: San Pietro taglia l’agnello ed un altro Apostolo si pulisce i denti con la forchetta. E tutti banchettano sontuosamente… Alla fine anche la severa Inquisizione si rende conto delle ragioni dell’arte; e Paolo è condannato soltanto a qualche lieve modifica del suo dipinto.

Ad osservare oggi i grandi quadri di banchetti che il Veronese ha dipinto (dall’enorme telo del Louvre alla grandiosa “Cena in casa Levi” di Venezia) si scopre che il culto della qualità della vita era qualcosa di connaturato, nel Cinquecento, alla nobiltà veneziana. II vasellame è sempre splendido; i bicchieri di Murano di straordinaria finezza; riccamente lavorate le tovaglie. I veneziani già allora adoperavano le posate, precedendo l’usanza di molte regge europee.

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Paolo Veronese, “Le Nozze di Cana”, particolare, Parigi, Museo del Louvre. In primo piano, raffinati calici in vetro di Murano.

Comprensibile che un grande maestro vetraio come Archimede Seguso si sia ispirato sin dall’inizio a questa tradizione tipicamente veneziana. In varie occasioni egli è andato oltre alla produzione classica di biccheria bottiglie e vasi, impostando un discorso globale attinente tutta la tavola imbandita. Tipici sono appunto certi centro-tavola, certe decorazioni floreali, certi trofei, vere e proprie sculture destinate ad abbellire la mensa. E’ un po’ lo stesso gusto del Veronese: quel dare importanza anche e soprattutto alle cose considerate se non inutili accessorie. “Se nel quadro li avanza spacio, io l’adorno…”, diceva Paolo Veronese. Adornare la tavola diventa un segno di civiltà che Archimede Seguso ha ben capito.

Ora ecco alcune tavole imbandite che a Firenze il grande Archimede presenta “per ornamento”. Ciò che colpisce subito è l’estro culturale che domina queste vere e proprie composizioni scultoree e pittoriche. Non si tratta di adattamenti “in stile”, bensì di raffinatissime contaminazioni, come usa la miglior arte d’oggi. Contaminazione: cioè accostamento (ma con intelligenza, con sensibilità) di modalità diverse.

Vediamo quindi, con meraviglia, accostamenti che il grande gusto veneziano di Archimede rende con armonia. Colpiscono certi piatti massicci, scolpiti a quadrifoglio con concezione modernissima, vicino a leggeri secchielli che richiamano la grande stagione del XVIII secolo veneziano. Stare a tavola così, a cavallo di due secoli, anzi di due concezioni di vita, può essere eccitante. Del pari scorgiamo sulla tavola elegantissime alzate con delfino d’un fascinoso blu cobalto, cui fanno contrappunto trofei a forma di fiore sbocciato; oppure una serie di aerei bicchieri in cristallo pagliuzzato d’oro, nella lavorazione muranese ballotton, accostati ad autentiche rarità come i fiori da collezione 1948.  E che dire, tornando al grande Paolo Veronese, dei rossi vasi a tre dimensioni, con bicchieri dipinti in oro e smalto? Troviamo anche una bizzarra decorazione a lattimo sul cristallo di alcuni semplici raffinati bicchieri; e ci soffermiamo di fronte alle caraffe anni Quaranta in cristallo decorato oro. E’ come se sulla tavola galleggiassero spicchi di luce colorata, riflessi dorati, accensioni improvvise, giuochi di Fata Morgana. Quando poi il color rubino di certi vini entrerà nei bicchieri, lo “sposalizio” sarà perfetto.

Tavola elegante nella quale i riflessi del cristallo sono esaltati dalle costolature degli oggetti. I candelieri soffiati si accompagnano a coppa e vaso e alle alzate con frutta assortita dai colori opachi e trasparenti.

Naturalmente tutta questa fragile e pur eterna bellezza del vetro si accosta con belle tovaglie ricamate in lino. Archimede non poteva scegliere una cornice migliore per i suoi vetri. Già negli anni ’50 sentiva il fascino della leggerezza raffinata del ricamo tanto da volerla fare sua, cristallizzando impalpabili tessuti vetrosi nei suoi vasi “Merletto”. Anche qui, su queste tavole, i ricami a punto Venezia, i gigliucci e gli intarsi a filet, vengono catturati dalle sue eteree trasparenze soffiate, unendosi in un’unica arte. Ancora una volta due mondi si incontrano conciliandosi.

Difendendosi davanti all’Inquisizione, Paolo ha messo in primo piano le ragioni dell’arte. La bellezza non è soltanto un fatto edonistico, un puro piacere dei sensi: è il segno di un equilibrio interiore che porta a quella “qualità della vita” che anche una tavola imbandita da.

E i bicchieri che tintinnano nella “Cena in casa Levi”: sono parte di qualcosa del gran gusto veneziano tramandatoci. Archimede ha ripreso il discorso antico, inserendolo nella policultura d’oggi con grazia ed estro squisito.

Tavola dai toni caldi e sfumati dell’oro dove svettano candelieri a colonna. Piatti lineari spruzzati d’oro si accompagnano con bicchieri lavorati a “ballotton” con delfino e a leggerissimi bicchieri in cristallo. Completano la tavola la caraffa e i preziosi fiori realizzati alla fine degli anni ’40.

 

SGUARDO AL PASSATO

 

SCOLPIRE NELLA STORIA

Le splendide sculture, esposte alle Triennali di Liegi del 1986, 1989 e 1992, testimoniano la sofferta partecipazione dell’artista agli eventi culturali e politici dei nostri tempi. Espressioni di una abilità tecnica e di una creatività che si traducono in un messaggio universale.

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“La mia Europa”, 1992, obelisco in vetro soffiato blu cobalto sostenuto da quattro sfere su una base cubica; stelle in vetro “cristallo”. Mis.: h cm. 2 J J.

L’artista, si è detto, ha le antenne. Riesce a cogliere i presentimenti, i sintomi, gli stati d’animo della società. Incamera e traduce; interpreta ed emblematizza.  Anche nel giro di pochi anni tutto ciò che avviene attorno viene da lui assimilato. E’ il caso di Archimede Seguso. Nelle sue creazioni in vetro si riflette il mondo con i suoi mutamenti. Al momento, magari, nessuno se ne accorge; ma basta che passi il tempo ed ecco che, quasi all’improvviso, appaiono le relazioni, le concordanze, le interazioni.

L’esempio della “Triennale europea della scultura in vetro” di Liegi è tipico. Archimede Seguso partecipa, invitato, a tutte le tre edizioni: 1986, 1989 e, ultima, 1992, organizzate dalla Generate de Banque, editrice anche del catalogo curato da loseph Philippe.  Oggi, riguardando le sue opere allora esposte, vi scorgiamo lo specchio dell’epoca in cui esse sono state prodotte. E’ curioso, strano: la Bellezza, anche quando raggiunge momenti di apparente astrazione, cioè di sublimazione estetica, conserva all’interno i germi della situazione (esistenziale, psicologica, culturale ma anche politica in senso lato) da cui è nata. I vetri di Archimede possono essere interpretati da tale angolazione: e crediamo che, alla prova dei fatti, sia un’interpretazione più che lecita.

1986: la situazione internazionale, per la conflittualità in Oriente, scotta. Le cinque bellissime opere che Archimede Seguso espone alla prima Triennale di Liegi sono là, a testimoniare di una generale preoccupazione. L’esempio più impressionante è dato da un vetro cristallo intitolato appunto “Millenovecentottantasei”, che rappresenta una testa di uomo orientale da cui si dipartono, come per un’esplosione, le forme cilindriche di alcuni missili. E’ una scultura impressionante proprio perchè piega la bellezza irreale del vetro ad una espressività lancinante, di crudele simbolismo nel fondo surreale.  “I pensieri disse a suo tempo Archimede – esplodono nella civiltà del caos”. Anche le altre quattro opere esposte a Liegi riflettono un’inquietudine amara, pur se l’artista ha sempre presente il flusso vitale della natura in cui desidera tuffarsi. Ecco, così, lo splendido “Germoglio”, in cui dalla vegetazione nera ad aculei spunta violento un “desiderio di vita”; oppure “Controvento”, in cui l’artista, rigettando le nubi nere del presente, si lascia trasportare dal vento sereno di un futuro visualizzato da una splendida testa di lunghi capelli fluenti. Alla tragedia in atto si contrappone la speranza.

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“L’immagine”, 1986, scultura in vetro cristallo su base nera. La sensibilità nel viso femminile assume contorni soggettivi. Mis.: cm. 45 x 29 x 32 h.

1989: sul tavolo dell’umanità è il problema drammatico della liberazione.  I conflitti razziali si acuiscono. “L’Astronauta”, scultura a massello ed a soffio estremamente complessa e tormentata, visualizza un volto umano racchiuso in una specie di scafandro da cui cerca di liberarsi. Chiaro il concetto del nucleo vitale che mal sopporta gli schermi, fisici come psicologici, che lo comprimono. Ne esce un’opera di straordinaria suggestione, forte nel suo dinamismo compresso e pur lieve, leggera, quasi impalpabile nel desiderio di libertà.  Del pari “Lassù”, scultura pure a massello, proietta verso l’alto lo slancio verso l’infinito. Archimede sente il tema della liberazione con passione civile; ma lo trasporta sempre in una sfera universale, cosicchè le sue opere risentono sì della contemporaneità, ma la sublimano nella purezza della metafora.

“Astronauta”, 1989, scultura a massello e a soffio su base molata in vetro “cristallo”. II dinamismo dello spazio nella costrizione di rimanere in vita. Mis.: h cm. 39 x 29 x 19.

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“Millenovecentottantasei”, 1986, scultura in vetro cristallo. I pensieri esplodono nella civiltà e nel caos. Mis.: cm. 32 x28 x48h.

1992: dalla tematica razziale ad un’apertura verso la solidarietà tra i popoli. Bastano due opere per capire come la durezza dei contrasti possa essere superata. “Incertezza” cela un volto semicoperto da una maschera. Nel blu cobalto, profondo come il mare, si insinua un nero tragico: è il simbolo dell’incertezza, del disagio, della conflittualità provocata da una situazione che amareggia l’artista. La fiducia nel domani è data da una grandissima scultura in vetro soffiato color blu cobalto: un obelisco “a mattoni” alto due metri e 35 centimetri, sostenuto su sfere da una base cubica e punteggiato da dodici stelle dorate. Il titolo è semplice: “La mia Europa”. L’obelisco, di per sè, da I’idea di una solidità che, puntata verso l’alto, sfida il tempo: segnale di solidarietà e di compattezza, di concetto visualizzato di un’utopia che fermamente l’artista intende realizzare. Leggere attraverso la sfera alchemica della Bellezza: è l’invito che ci rivolge l’arte di Archimede Seguso. Niente più del vetro si presta, con la sua trasparenza, a visualizzare un’idea che dal nucleo sensitivo-intelletivo dell’artista si diparte come un messaggio universale. Le triennali di Liegi ne sono una dimostrazione lampante.

“Incertezza”, 1992, scultura soffiata in cristallo con macchie verde e blu. Sulla maschera blu cobalto si riflette I’ombra nera. Mis.: cm. 48 h.

Marinaio francese, “Matelot”, 1992, scultura in cristallo soffiato con macchie verde blu e cappello blu cobalto. La seconda base, in blu più intenso, ricorda la risacca. Mis.:cm. 37 h.

“Colombina”, 1992, testa di donna in cristallo con maschera in cristallo oro su base verdina. Mis.: cm. 33 h.

“Germoglio”, 1986, volto di donna in cristallo trasparente che nasce da un fascio di foglie lanceolate profilate in nero, su base nera. Mis.: h 40 cm. x 40.

“Controvento”, 1986, scultura in vetro cristallo. Il vento come la vita, serenamente verso il futuro. Mis.: cm. 30 x 10 x 30 h.

“Profili”, 1989, scultura a massello in vetro “cristallo” sfumato in blu cobalto e verde smeraldo. Mis.: h cm. 39 x 14 x 16.A destra: “Lassù”, 1989, scultura a massello in vetro “cristallo” su base lavorata a mano in verde pallido. La proiezione, lo slancio verso I’infinito per raggiungere la serenità. Mis.: h cm. 42 x 23. “Doppia eclissi”, 1986, scultura in vetro cristallo su base nera. Nel rinnovarsi dei giorni della vita, I’eclissi è un istante che si può anche non vedere. Mis.: cm. 30 x 26 x 29 h.

 

PROPOSTE D’OGGI

 

“ROTTURE” DI SUCCESSO

Opere nuovissime del ciclo “rotture” uscite dalla mano magistrale di Archimede Seguso. Un successo che si ripete. Scissioni, lacerazioni, tensioni: una forte drammaticità esplode, e si ricompone, nelle luminose, fantasmagoriche sculture di vetro.

Il tema delle “rotture” è tipico dell’ultimo Archimede Seguso: un tema di forte aderenza alla situazione psicologica del nostro e del suo tempo. Già ne abbiamo parlato nel numero 1 di questi “Quaderni”. La prima esposizione del ciclo sulle “rotture” ha avuto un successo davvero entusiasmante a Treviso: poi c’è stata la tappa nobile di Venezia; ora, in settembre, c’è quella prestigiosa di Firenze; seguiranno Roma, Milano e quindi l’estero, a cominciare da Lione. Il favore della critica è stato pari a quello del pubblico. Si è ammirata in queste sculture una triplice qualità: quella della grande perizia tecnica; quella della simbolizzazione emblematica; quella, infine, della bellezza in sè, davvero sublimata.

“Movimento in tensione”. Massa in vetro trasparente su base nera con decorazioni blu, verde e molature sparse. Mis.: h cm. 30.

“Frammento composto”. Disco in vetro rubino sommerso cristallo con inserzione blu cobalto. Mis.: h cm. 28.

Ecco ora alcune opere nuovissime uscite dalla mano magistrale di Archimede Seguso. II tema resta quello, appunto, della rottura: intesa anche come scissione, lacerazione, esplosione e, di riflesso, ricomposizione (ristrutturazione) della forma. Il trauma continua, anzi diventa ancor più complesso, con aderenze esistenziali, sempre più inquietanti ma anche, se così si può dire, sempre più trasumanate. Un disco di cristallo con sfumature blu si incrina: vediamo sulla sinistra le sfaccettature a diamante provocate dallo scoppio.  Un altro disco si sdoppia in un movimento circolare a spirale, accentuato da una specie di lente che ingigantisce e sfalsa i piani: qui la rottura è ancora più concettuale, riportata a una dimensione spaziale dal cangiantismo cromatico (polveri dorate) che offre un effetto straniante. Tagli, triangolazioni secche, separazioni, tensioni all’esterno o all’interno: c’è tutto un movimento virtuale che anima queste sculture, rendendole così fantasmagoriche e, insieme, splendidamente ossessive.

“Emozione dinamica”. Masse sovrapposte vetro trasparente con decorazioni blu, macchia oro e molature sparse. Mis.: h cm. 43.

II ciclo delle “rotture”, come già abbiamo scritto, è nato l’anno scorso da una riflessione interna dell’ottantacinquenne maestro muranese. C’è stato un suo sforzo di rendere ancora più espressivo il vetro nel momento stesso del suo passaggio dallo stato liquido al solido:  la rottura si è fissata nello spazio e nel tempo, congelata in un sentimento di esasperata bellezza. Il vetro, in quel momento magico, spelle una scheggia dalla sua massa, oppure esplode in modo fragoroso, magari si scompone fin quasi a dilatarsi in una galassia di luce, si agita nel dolore di una lacerazione traumatica, talora tende spasmodicamente a ricomporre i frammenti, formando un colloquio brusco all’interno della massa dilacerata… Tutto ciò non è un mero giuoco formale e nemmeno il brivido di un’emozione dinamica: L’energia fisica si tramuta in spirituale.  La qualità estetica si fa qualità morale.  E l’angoscia da cui queste stupende sculture in vetro derivano si traduce in un  palpito di universale drammaticità.

“Movimento virtuale”. Masse in vetro trasparente su base nera con decorazioni blu, macchia oro e molature sparse.
Mis.: h cm. 30.

“Tensioni interne”. Masse in vetro trasparente su base nera con decorazioni blu, ametista, verde e molature sparse.
Mis.: h cm. 35.